
Il primario Giuseppe Pepe
Versilia, 1 novembre 2020 - Terminato il turno, che non ha mai una scadenza, liberato il viso e il corpo dalla stoffa monouso, lavate e disinfettate scrupolosamente le mani, resta qualche minuto per confrontarsi con i colleghi, per decifrare, quindi affrontare questa seconda fase dell’epidemia. "Venerdì, nel giro di poche ore, nella terapia intensiva Covid abbiamo ricoverato due persone. Non succedeva ormai dai giorni più difficili di primavera. Un uomo di 51 anni e una donna di 47, entrambi con una polmonite bilaterale seria", racconta il primario del pronto soccorso del Versilia, Giuseppe Pepe. Ci mostra una radiografia: la malattia che in appena dodici ore, bianco su nero, è riuscita ad avvolgere metà dei polmoni e a risucchiare l’aria. "Il quadro clinico delle paziente ha avuto un peggioramento davvero repentino; il timore – prosegue il medico - è che il virus possa essere ancora più aggressivo di quanto lo fosse nella prima ondata".
Lo stesso giorno, nero, al pronto soccorso del Versilia in appena cinque ore si sono presentate circa cento persone: il 30% con Coranivirus accertato o sintomi sospetti. Sono sei ogni ora, uno ogni dieci minuti. Persone, più o meno giovani, positive al virus che sono arrivate in ospedale, senza fiato, con i volontari delle ambulanze Covid che scendono come astronauti, con la tuta bianca, la barella, i ventilatori. O accompagnate dai familiari, in auto. Varcano a piedi la tensostruttura, preludio del cosiddetto percorso "sporco", senza neppure un abbraccio. Oggi, come a marzo e ad aprile. E a causa dell’impennata di accessi non basta più lo spazio dell’area Covid, rimasta allestita per tutta l’estate e dove possono rimanere in osservazione da 6 a 8 pazienti nello stesso momento mantenendo il giusto distanziamento.
«Così – prosegue il primario, fermo, lucido, umano – abbiamo allargato l’aria Covid a tutta l’alta intensità del Pronto Soccorso. Deve essere chiaro: noi ci siamo e siamo pronti ad accogliere tutti coloro che hanno bisogno, ma abbiamo bisogno delle collaborazione di tutti per salvaguardare l’ospedale". La prima linea guarda fisso l’obiettivo: le guarigioni e il contenimento dell’infezione. Anche dentro il fisico dei tanti malati di polmonite, nella lotta all’ultimo anticorpo tra cellule sane e virus. Ma fuori dagli ospedali ognuno può fare la sua parte: "In questa fase così delicata è fondamentale che ognuno di noi sia responsabile – prosegue il dottor Pepe - e metta in pratica una sorta di lockdown personale. Così da far rallentare il contagio, ma anche quei piccoli infortuni che possono impegnare personale e ingolfare il reparto d’emergenza. L’ospedale, nel complesso, sta reggendo l’impatto di questa ondata. Lo fa grazie al personale, che non si tira mai indietro ed è la risorsa più importante in questo momento. Grazie ai medici di famiglia, e alle due Usca, unità speciali di continuità assistenziale, che ogni giorno si prendono cura dei pazienti a casa e valutano le loro condizioni". Non nasconde niente Pepe, "E’ fondamentale che tutti comprendano i rischi di questa infezione e agiscano di conseguenza. So che io sono un dipendente pubblico, che ho uno stipendio fisso. Ma qui - conclude il primario del pronto soccorso - non parliamo di bilanci o di altro, qui parliamo di vita o di morte".
Martina Del Chicca