La tragedia di Cardoso, 27 anni fa. "Pratiche snelle e risorse immediate. Così si impose il modello Versilia"

Lorenzo Alessandrini, ancora oggi sindaco di Seravezza, nel 1996 guidò le operazioni della protezione civile. "Il prefetto affidò direttamente a me la gestione del centro operativo, invece che a un suo funzionario"

L’alluvione di Cardoso, nel giugno del 1996 (Foto Umicini)

L’alluvione di Cardoso, nel giugno del 1996 (Foto Umicini)

Seravezza (Lucca), 20 maggio 2023 - Solo trenta giorni. Un tempo record in cui la Versilia uscì dall’emergenza dopo la distruzione dell’alluvione del giugno 1996: un’azione rapida fatta dal coinvolgimento di tutti i soggetti, la suddivisione dei compiti e il superamento dei carteggi di burocrazia. In sostanza il Modello Versilia si impose come un’esperienza da esportare e replicare in caso di disastro.

Sindaco Alessandrini, quale fu la sostanza di questo metodo?

"Fummo i primi a dare attuazione alla legge 225 del ’92. La prima novità operativa fu che il prefetto affidò a me, allora alla mia precedente esperienza di sindaco a Seravezza, il coordinamento di un centro operativo di protezione civile, e non a un suo funzionario. Da quel centro impegnammo i 21 elicotteri che partivano per rimuovere il fango e intervenivano sui cavi strappati e le tubature rotte. Concentrammo vigili del fuoco e volontari delle pubbliche assistenze e di tutte le associazioni. Furono coinvolti centinaia di operatori, compresi soldati, carabinieri e polizia. Il metodo fu fondato sull’aiuto sussidiario con tutte le risorse in piena collaborazione, ragionando per funzioni e non per amministrazioni, in un dialogo operativo scevro da gerarchie o dipendenze funzionali".

Il modello Versilia significò anche pratiche più snelle...

"L’allora governatore Vannino Chiti aprì sul territorio l’ufficio del commissario straordinario con dipendenti della Regione che curavano gli atti amministrativi con velocità di erogazione dei soldi. Poi facemmo un frequente utilizzo di ordinanze di protezione civile che sono derogatorie rispetto alla legge ma che permettevano procedure accelerate. Questa gestione rapida e virtuosa è diventata poi un modello messo in pratica in altre emergenze, come a Sarno nel 1998 e ancora praticabile".

Poteva essere previsto il disastro in Emilia Romagna?

"L’esperienza mi ha insegnato che che le fasi di allertamento seguono le soglie pluviometriche. In sostanza io capii che se cadevano 474 millimetri di acqua in 6 ore io avevo morti a Cardoso. In Emilia non avendo esperienza precedente di una tale calamità il sistema non ha retto. Non era possibile sapere prima l’esito di quella pioggia, altrimenti il sistema locale si sarebbe organizzato".

Adesso sarebbe ancora valido mettere in atto il modello Versilia?

"Certamente e non solo per l’ottima rete di coordinamento che ha saputo insegnare ma anche per le azioni da compiere a posteriori. Dove il sistema idraulico si è dimostrato lacunoso o incapace di sopportare cambiamenti climatici le opere dovranno essere riconfigurate: noi abbiamo espropriato terreni, allargato il fiume e anche abbattuto ponti per ridimensionarne la capacità. Poi allertare la popolazione col metodo ’dei secchi’, cioè tenendo conto della soglia dei pluviometri per ogni zona".