
Aveva il dono della battuta pronta, la finezza dello psicologo che in un piccolo dettaglio sa cogliere l’essenza del problema, la capacità di toccare le corde giuste per trasformare un gruppo di ragazzi in una squadra, il talento per risolvere una discussione sfoggiando la giusta dose di ironia; sapeva ridere e far ridere, il sorriso ad illuminare il volto: Enzo Riccomini, scomparso ieri ad un passo dalla candelina numero 88, era tutto questo. Oltre ovviamente un buon padre di famiglia (lascia la moglie Laura, le figlie Manuela e Michela, tanti altri parenti), orgoglioso di essere nato a Piombino (il padre era stato un operaio della Magona) e di avere vissuto a lungo a Viareggio. Idealmente il salmastro annodava queste due città in un legame che per Riccomini era indissolubile e sovrano. Uomo di scoglio e di sabbia, dunque.
Certo Enzo è stato anche un allenatore di calcio, con tante gioie e ovviamente anche qualche dolore sportivo. Ma prima veniva l’uomo, schietto e croccante come un pezzo di focaccia uscita dal forno. E da uomo di panchina ha legato il nome al calcio viareggino, in due distinte fasi della sua carriera. Prima all’inizio, con tre stagioni in serie C (inizio anni ‘70), quelli passati alla storia bianconera per i nomi di Cavallito, Giampaglia, Bresciani, Piaceri & C. con il sogno di dare l’assalto alla serie B. Proprio dopo quel triennio, il salto verso la serie A e B. Con tanti momenti di gloria. Poi, al crepuscolo della sua permanenza in panchina, all’epoca del sogno mendelliano di portare il Viareggio verso il calcio che conta: erano gli anni di Valori, Caramelli, Mangoni, Bisoli, Spalletti, ma l’avventura si fermò alla C2 (dopo avere vinto la serie D), un po’ per i guai del gruppo Intermercato e per la beffa di Tempio che a distanza di trenta e passa anni lo faceva ancora arrabbiare...
Enzo Riccomini è stato anche un inesauribile coniatore di soprannomi per i giocatori, sempre con il sorriso sulle labbra, tanto da pensare che avrebbe potuto diventare, se non avesse sfondato con il calcio, uno scrittore di testi comici. “Bambolina” era il leggiadro Carlo Bresciani, “Schiantaberetti” era il difensore Lancini, tanto per fare due esempi. Eppoi il duetto con Giovanni Trapattoni nella sala stampa dello stadio dei Pini, dopo che il difensore viareggino Olmi aveva “azzoppato” l’attaccante dell’Inter, Fontolan acquistato da pochi giorni per una cifra record nel corso di un’amichevole (“scusa Trap, scusa Trap: lo mando via, non lo faccio più giocare”) e quando definì i suoi attaccanti - era il periodo della prima guerra del Golfo nel 1991 - “soldati iracheni che si sono consegnati al nemico” perché non erano riusciti mai ad impensierire la difesa avversaria; e ancora “meglio due feriti che un morto” per dire che il pareggio era un risultato mai da disprezzare. Si potrebbe continuare così per almeno un giorno, perché siamo sicuri che tutti i giocatori che hanno avuto Riccomini come allenatore avrebbero qualcosa di particolare da raccontare. Per sorridere e per cullarsi piacevolmente nella piscina dei ricordi.
Ma non sarà più possibile. Enzo è partito per un lungo viaggio. Sappia però che Viareggio gli ha voluto bene come un figlio e che continuerà a vivere nel ricordo non solo degli sportivi. I funerali saranno celebrati oggi pomeriggio alle 17,30 nella chiesa di Sant’Antonio.
Giovanni Lorenzini