
Svolta nel caso-Romano Dieci anni dopo la morte servono ulteriori indagini
A dieci anni dai fatti, la Procura generale di Perugia ha avocato a sé il fascicolo che riguardano le indagini sulla morte di un 26enne, Nicola Romano, trovato senza vita in un appartamento del centro storico di Perugia. Le indagini, all’epoca, si conclusero con l’archiviazione, sostenendo l’ipotesi di un’overdose mortale. Ipotesi a cui la famiglia si era sempre opposta. Dopo aver svolto un’attività di indagine difensiva, i familiari avevano chiesto che il caso venisse riaperto. La successiva attività di indagine si era conclusa con una nuova richiesta di archiviazione a cui i parenti si erano opposti.
Dopo un ulteriore periodo di accertamenti disposti dal gip di Perugia, la Procura della Repubblica di Perugia ha deciso nuovamente di chiudere le indagini senza aver individuato elementi utili a seguire una pista diversa da quella dell’overdose. La famiglia era tornata ad opporsi all’ennesima archiviazione, chiedendo alla Procura generale di condurre le indagini al posto della Procura, sulla scorta di elementi di parte, emersi in questi anni, da quelli tecnico scientifici alle testimonianze. Richiesta, infine, accolta dall’ufficio diretto da Sergio Sottani. Secondo i familiari, assistiti dagli avvocati Barbara Romoli e Anna Beatrice Indiveri, Nicola Romano sarebbe stato ucciso, forse dalle stesse persone che, poco prima del 17 agosto 2013, quando venne ritrovato cadavere, lo avrebbero minacciato e picchiato, per poi inscenare un’overdose nella casa dove, di fatto, sarebbe stato trattenuto contro la sua volontà, facendo leva sul suo passato di tossicodipendenza. Numerose le incongruenze sulle quali la sorella e gli altri familiari, attraverso i legali, hanno più volte puntato il dito. Come la posizione del corpo, ritrovato sotto un tavolino, oppure il foro di una siringa sul braccio destro, ritenuto improbabile per un destrorso che si sarebbe voluto iniettare eroina. La cui quantità, come evidenzia la consulenza tossicologica commissionata dalla famiglia, sarebbe stata così ridotta da non poter provocare un’overdose.
E poi i messaggi di minaccia ricevuti, l’aggressione subita, i testimoni indicati dai parenti e finora non sentiti., i reperti su cui fare analisi biologiche finora non fatte, anche se in parte andati accidentalmente distrutti "Accogliamo con soddisfazione la scelta della Procura generale, nella speranza che gli elementi che abbiamo portato all’attenzione vengano presi in esame. Abbiamo fiducia in questa nuova indagine" commenta l’avvocato Barbara Romoli.