
di Gaia Papi
Non andrà a processo il medico aretino che nel 2018 al San Donato aveva amputato il pene a un 64enne residente in Valtiberina, per poi scoprire che il tumore, che si sospettava, non c’era. La vicenda è approdata ieri nell’aula del giudice del Tribunale di Arezzo, Claudio Lara (foto), per l’udienza preliminare. Il reato ipotizzato era lesioni gravissime, ma la decisione del gup è stata quella di "non luogo a procedere per tardività della querela". In aula ha prevalso, quindi, la linea della difesa del medico secondo cui la denuncia doveva essere presentata entro i tre mesi da quando il 64enne era venuto a conoscenza delle lesioni. L’operazione chirurgica risale al 2018 dopo che all’uomo era stato diagnosticato un cancro al pene. Il paziente era stato sottoposto a un intervento di amputazione, salvo poi scoprire che il tumore non c’era, come rilevato successivamente dagli esami istologici. Soltanto mesi dopo l’intervento, nella primavera del 2019, dalle analisi è emerso che il paziente era affetto da un’infezione, la sifilide. Solo anni dopo, nel marzo 2021, il paziente decide di denunciare, "dopo aver preso piena consapevolezza del danno che ritiene gli sia stato arrecato", aveva spiegato il suo avvocato, secondo il quale prima dell’intervento avrebbero dovuto svolgere una biopsia per avere certezza dell’esistenza del tumore. La Procura aretina aveva inizialmente concluso per l’archiviazione, ma i legali, Roberto e Gianmarco Bianchi e Antonino Belardo, si erano opposti e il procedimento era andato avanti (parallelamente a una causa civile). Ieri anche il pm Marco Dioni in udienza ha chiesto il non luogo a procedere. L’urologo, di 36 anni, lombardo, non era presente e nemmeno il paziente, oggi 69enne, rappresentati rispettivamente dagli avvocati Cristian Caloni e Maria Rosaria Maiulo dello studio legale Bianchi di Città di Castello. Sul fronte civile c’è una causa di risarcimento del danno. L’uomo chiede 400mila euro.