Rete contro la violenza sulle donne Nel nome di Barbara Corvi

Due iniziative di Libera Umbria e Osservatorio sulla criminalità ricordano la mamma scomparsa ad Amelia nel 2009

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Azioni concrete per ricordare Barbara Corvi. Dopo l’inserimento del nome della mamma di Montecampano, scomparsa il 27 ottobre del 2009 da Amelia, nell’elenco delle vittime innocenti delle mafie, l’associazione Libera Umbria e l’Osservatorio regionale sulla criminalità organizzata fanno un passo ulteriore. Anzi, due. Lunedì, nella sala della Partecipazione del Consiglio regionale: il 27 giugno sarà infatti il compleanno di Barbara, il tredicesimo che la donna non festeggia con figli e sorelle.

L’Osservatorio, che da sempre appoggia la famiglia Corvi nella ricerca della verità, promuoverà l’iniziativa “Lettere per Barbara“: per un anno, ogni 27 del mese, sarà pubblicata in Umbria e in Calabria, una lettera scritta "da chi intende dare il proprio contributo e prestare le proprie parole per giungere anche a chi è complice del silenzio omertoso".Ma lunedì sarà presentato anche il protocollo d’intesa “Libere di essere - Barbara Corvi“ per offrire una rete si sostegno alle donne che scelgono di uscire dai circuiti criminali. "Nasce dalla collaborazione con il Centro per le pari opportunità e la rete antiviolenza dell’Umbria – spiegano dall’Osservatorio – e rappresenta la prima esperienza in Italia di rete formalizzata tra associazioni e istituzioni per l’accoglienza, l’accompagnamento e il supporto delle donne sopravvissute che intendono intraprendere un percorso di uscita dalla violenza maschile e di stampo mafioso. Un importante passo avanti nelle politiche di prevenzione e contrasto alle mafie. Il protocollo sarà il segno tangibiledi una memoria impegnata, che costruisce strade di speranza e possibilità".

Sul versante giudiziario, i primi di luglio il Tribunale del Riesame deciderà sull’opposizione alla richiesta di archiviazione dell’indagine a carico del marito di Barbara, Roberto Lo Giudice, indagato per omicidio volontario, che ha trascorso tre settimane in carcere. Era stato proprio il Riesame a rimettere Lo Giudice in libertà. L’uomo, proveniente da una famiglia di ’ndrangheta, viene ritenuto dagli inquirenti non organico all’omonimo clan. I familiari di Barbara non hanno mai creduto all’ipotesi dell’allontanamento volontario.