
Due medici e un primario in servizio nel 2013 all’ospedale Santa Maria sono stati condannati dalla Corte dei Conti dell’Umbria , presieduta da Piero Carlo Floreani, a risarcire la Regione della cifra complessiva di 629mila euro. Dieci anni fa un paziente perse la vita dopo essere stato operato, a più riprese, all’ospedale di Terni e per quel tragico episodio la Regione, nel 2017, ha liquidato in via transattiva ai familiari del defunto la somma di 740mila euro a titolo di risarcimento del danno. Da qui il procedimento avviato dalla Procura contabile nei confronti dei tre medici coinvolti (oltre a due specializzandi la cui posizione è stata stralciata per la scelta di un diverso rito). "In data 16 settembre 2013 – si legge nella sentenza – il paziente affetto da diabete mellito insulino dipendente e da ipertensione con cardiopatia secondaria è stato ricoverato all’ospedale di Terni con diagnosi ecografica di ’colecisti sclero-atrofica litiasica’, per l’esecuzione di un intervento programmato di colecistectomia laparoscopica, effettuato il giorno successivo". Il provvedimento dei giudici riporta le tappe del peggioramento del paziente dopo l’intervento, fino alla tragedia: "La mattina del 27 settembre è intervenuto il decesso. Il riscontro autoptico ha documentato come causa di morte uno shock settico da peritonite biliare e bricopolmonite batterica, in esiti di colecistectomia".
Quindi quattro anni dopo, in seguito al risarcimento transattivo ai familiari della vittima, la Procura contabile ha avviato il procedimento contro i medici coinvolti, ai quali sono state contestate "plurime condotte illecite, a titolo di colpa gravissima, sia sotto il profilo commissivo e che omissivo". I tre medici sono stati condannati a pagare cifre diverse secondo il loro coinvolgimento nell’intervento principale e in quelli successivi. In particolare uno dei professionisti dovrà versare 296mila euro in quanto "ritenuto responsabile in qualità di primo operatore dell’intervento chirurgico del 17 settembre 2023"; 148mila euro l’altro medico mentre il primario è stato condannato a versare 185mila euro "per non aver adottato o disposto le misure sanitarie necessarie a evitare il diffondersi dell’infiammazione, nonostante le evidenze sintomatologiche e gli esiti dei controlli effettuati". Respinte le tesi difensive, sia di natura clinica che riguardo l’accordo transattivo con la famiglia della vittima. Possibile e probabile l’appello al secondo grado della giustizia contabile.