REDAZIONE UMBRIA

Licenziata dal Comune, la Cassazione “rinvia“

Il procedimento torna in Corte d’Appello. L’avvocato Centofanti: "Ragionevole speranza di ottenere l’annullamento e il reintegro nel posto di lavoro"

Era stata licenziata dal Comune di Assisi perché nel “report“ aveva indicato di aver lavorato, per quattro giorni, un’ora in più. Ora la Corte di Cassazione riapre i “giochi“, annullando la sentenza di secondo grado (che aveva confermato il provvedimento disciplinare) e rinviando tutto, di nuovo, alla Corte d’Appello. "La dipendente, dopo aver lavorato nel marzo 2017 quattro giorni per otto ore e mezzo consecutive, senza neppure fermarsi per il pranzo – spiega l’avvocato Siro Centofanti (nella foto), che assiste la donna –, era stata licenziata nel settembre del 2017 per aver compilato, nell’aprile precedente, un modulo, relativo a quei quattro giorni, che indicava un orario di uscita superiore di un’ora a quello effettivo. Nonostante l’importo netto di quelle quattro ore fosse di appena 32 euro, la Procura regionale della Corte dei Conti l’aveva citata chiedendo la sua condanna al pagamento di 20mila euro". E, a questo punto, la prima “svolta“: l’avvocato Centofanti ha sollevato per la prima volta in Italia questione di costituzionalità dell’articolo 1 del Decreto legislativo 116 del 2016, che prevedeva un danno minimo non inferiore a 6 mensilità.

"La questione – spiega il legale – rimessa dalla Corte dei Conti alla Corte Costituzionale era stata accolta per eccesso di delega". La sentenza è la n. 61 del 10 aprile 2020, che è entrata a far parte della giurisprudenza, modificanto l’ordinamento giuridico italiano. "La lavoratrice, quindi, aveva pagato neppure 200 euro, invece dei 20mila richiesti", spiega il legale. Non è l’unico punto a favore. "La donna, infatti, nonostante il Comune di Assisi si fosse costituito parte civile, in sede penale – continua l’avvocato Centofanti, in questa fase del procedimento affiancato dalla collega Elena Ferrara – era stata prosciolta per particolare tenuità del fatto". La sentenza del gip Lidia Brutti era stata confermata dalla Corte d’Appello penale di Perugia. "La lavoratrice – racconta ancora il legale – aveva anche impugnato il licenziamento. Nel ricorso si eccepiva, in particolare, la nullità del procedimento disciplinare in quanto svolto e concluso dal capo della struttura in cui la donna lavorava, il che era contrario al principio di terzietà". In primo grado il giudice aveva respinto l’eccezione, riconoscendo però che il procedimento era stato svolto dal capo della struttura. "Nel secondo grado –precisa ancora l’avvocato Centofanti – la Corte d’Appello aveva riconosciuto che l’eccezione sarebbe stata fondata sul piano giuridico, ma in concreto aveva ritenuto che il capo della struttura in cui la donna lavorava fosse stato diverso dal dirigente che aveva svolto il procedimento disciplinare".

E ora la novità, l’ultimo punto messo a segno dalla difesa dell’ex dipendente del Comune di Assisi: "La Corte di Cassazione – conclude l’avvocato Siro Centofanti – ha però ora accolto il ricorso presentato, giudicando errati i criteri in base ai quali la Corte di Appello aveva individuato il capo della struttura in persona diversa dal dirigente che aveva svolto il procedimento disciplinare. La causa è sata quindi rimessa alla Corte d’Appello di Perugia, con ragionevole speranza della lavoratrice di ottenere l’annullamento del licenziamento e la ripresa del posto di lavoro".