
La storia di Antonio, maestro calzolaio A 87 anni torna nel suo Monte Ruperto
Lui si chiama Antonio Gnucci, ha 87 anni, è un calzolaio tifernate, ma anche l’ultimo abitante di Monte Ruperto, exclave e "baronia" del comune di Città di Castello dove, dopo oltre 30 anni dall’ultima volta, in questi giorni è tornato in visita. "E’ stata un’emozione fortissima: in pochi attimi mi sono tornati alla mente gli anni vissuti in questo luogo incantato con la mia famiglia, la casa dove sono nato, i prati dove ho giocato da bambino con gli amici, la strada per andare a scuola, il panorama inconfondibile dell’infanzia che mi è rimasto sempre nel cuore e non mi ha mai abbandonato". Antonio, tifernate "doc", fra gli ultimi maestri calzolai della città, storico tifoso del Città di Castello calcio, riesce a stento a trattenere le lacrime nel raccontare le sensazioni che ha provato ritornando a Monte Ruperto, (al cui sindaco spetta il titolo di "barone") in territorio marchigiano. Il luogo - nella cartina sembra un’isola immersa nei boschi di confine - è situato fra i comuni di Apecchio e Sant’Angelo in Vado e dagli anni ‘70 è un borgo disabitato: a memoria del tempo che fu ci sono alcuni ruderi, tanta vegetazione e una montagna di aneddoti che Antonio ricorda con piacere e commozione. Un territorio particolare, al confine con le Marche quello della baronia che il comune di Città di Castello vuol far rivivere e valorizzare con specifiche iniziative in collaborazione con i comuni dell’altra regione. Tanto che il ritorno di Antonio Gnucci a ‘casa’ è stato filmato ed è finito in un servizio del Tg1, primo atto di una serie di iniziative tese a riaccendere l’attenzione su questa particolare zona geografica. "Gnucci fu l’ultima famiglia a lasciare Monte Ruperto – racconta l’ingegner Giovanni Cangi, storico e profondo conoscitore del territorio _ attorno alla metà degli anni ’60". Il seggio di Monte Ruperto per le elezioni politiche e amministrative era quello di Scalocchio, situato a notevole distanza e non facilmente raggiungibile, per cui gli elettori che giungevano da Monte Ruperto avevano precedenza rispetto agli altri elettori.
Nei primi anni ’60 Scalocchio fu centro di un’esperienza didattica nota come "Patti per l’Educazione" frequentata dai bambini del posto. A Scalocchio non c’era corrente elettrica. "Si deve a Don Zefferino Caporali, parroco dell’Abbazia, l’idea di piazzare un alternatore alimentato da una turbina idraulica collocata in una cascatella del Candigliano, sufficiente per garantire il servizio", aggiunge Cangi ricordando che alla scuola di Scalocchio si formarono molti giovani che si trasferirono a Città di Castello per frequentare le superiori, assistiti sempre da Don Zefferino, assegnato poi alla parrocchia di Trestina dove, oggi c’è una via in suo ricordo.
Cristina Crisci