“Giusta causa“, licenziata Ma il giudice la reintegra

Il caso di una donna allontanata dall’azienda dopo una crisi familiare. Il magistrato del lavoro ne dispone la riassunzione con risarcimento danni

Reintegrata perché "non sussistono gli estremi della giusta causa" e riassunta al proprio posto di lavoro. ll tribunale di Spoleto condanna un’azienda al reintegro di una dipendente dichiarando illegittimo il licenziamento. Così ha deciso il giudice del lavoro, mettendo fine alla vicenda di una donna che si è ritrovata in mezzo ad un polverone dopo una crisi familiare. Lei infatti inizia a lavorare in un’azienda locale nel 2009, come compagna di vita di uno dei titolari. Il suo impiego la porta, nel giro di breve, a occupare una posizione di vertice. Il rapporto personale finisce nel 2016 e da lì iniziano i problemi e i cinque anni e mezzo che la porteranno a vivere momenti difficili, per la tanta pressione e tensione del periodo. Anni di "vessazioni – denuncia la ex dipendente – al fine di indurmi alle dimissioni e ottenere accordi vantaggiosi davanti al giudice". La ricorrente, dinanzi al giudice del lavoro, ha ripercorso tutte le pratiche e gli atti vessatori nei suoi confronti. Prima lo smantellamento della sua postazione di lavoro nella sede centrale, quindi il collocamento in ferie, fino al trasferimento dalla sede centrale ad un magazzino dismesso. Il primo giorno di lavoro nella nuova sede la donna racconta anche di non aver trovato nessuno ad attenderla. Una volta entrata, e dopo le prime settimane di inattività, la donna si è vista cambiare le proprie mansioni: da quelle quasi manageriali alla necessità di provvedere alla pulizia della sua nuova sede di lavoro, un magazzino in disuso. "Attività dal carattere dequalificante e umiliante". Nel ricorso, la donna riferisce di visite di componenti della famiglia "accompagnate da umiliazioni verbali e minacce". Il tutto fino al trasferimento in un punto dell’azienda in questione, localizzato in una città vicina.

Da qui inizia una serie di procedimenti disciplinari e contestazioni sui ritardi della dipendente. Il ricorso sottolinea che, con l’occasione, nel distaccamento aziendale venne inserito un controllo degli ingressi e delle uscite. La lettera di licenziamento arriva a febbraio 2019 e - come riferito nel ricorso - mentre la donna era in malattia, e parla di "insubordinazioni ingiustificate". "Caccia alle streghe trasposta dal piano dei rapporti di famiglia al terreno elettivo del rapporto di lavoro" è la risposta. Per il tribunale del lavoro gli estremi di giusta causa non ci sono, e l’azienda viene condannata al pagameno delle spese e al reintegro della dipendente licenziata illegittimamente.

Alessandro Orfei