
Gubbio, il giorno dopo la grande Festa dei Ceri si celebra il patrono. L’omelia in Cattedrale: "Aiutiamo chi ha bisogno e crediamo nel bene". .
Dopo l’euforia della Festa dei Ceri del 15 maggio, nella giornata di ieri la città eugubina ha celebrato il Santo Patrono Ubaldo nell’865° anniversario della sua morte, avvenuta appunto il 16 maggio 1160. Lo ha fatto con la maestria e l’abilità dei Campanari che hanno suonato a festa per tre volte il Campanone (una all’alba, una a mezzogiorno e una alla sera) ma soprattutto con la solenne messa pontificale presieduta dal vescovo Luciano Paolucci Bedini e concelebrata da e concelebrato dal vescovo Giorgio Barbetta, sacerdote della diocesi di Gubbio e vescovo della diocesi peruviana di Huari, insieme anche al clero diocesano eugubino e al vicario generale, don Mirko Orsini, in una gremita Cattedrale dei Santi Mariano e Giacomo. Presenti anche le autorità civili e militari e le delegazioni delle città gemellate con Gubbio, salutate dal vescovo nell’omelia. Paolucci Bedini ha voluto sottolineare l’importanza di Sant’Ubaldo come pellegrino di speranza, riprendendo il tema dell’anno giubilare che la Chiesa cattolica sta attraversando: "Si compiono in questa solenne liturgia la memoria gioiosa e l’omaggio devoto del popolo eugubino offerti al santo patrono Ubaldo. In questo anno giubilare – esordisce il vescovo eugubino dopo i saluti iniziali – desidero contemplare con voi la figura del nostro santo patrono come "pellegrino di speranza". Il Beato Ubaldo, testimone credibile della fede in Cristo e autentico animatore del suo amore di carità verso i più poveri e bisognosi, è per noi anche un consolante esempio di discepolo e maestro della speranza. Anche laddove tutto appariva perduto, e nulla sembrava volgere al bene, Sant’Ubaldo ha saputo attingere all’unica sorgente della vera speranza, la forza e il coraggio per affrontare il male continuando a credere nel bene. Ci ha insegnato – prosegue Luciano Paolucci Bedini – che la speranza va attinta alla sorgente della misericordia di Dio, ma poi va anche organizzata e servita con l’impegno e il sacrificio personale. Va resa concreta e tangibile con i gesti e i segni della vicinanza e della compassione. Va custodita e moltiplicata nella condivisione fraterna e nella carità operosa. Va appresa e allenata sotto lo sguardo di autentici testimoni". Federico Minelli