
Un risarcimento da 160mila euro è quanto il Comune di Passignano dovrà riconoscere, dopo 13 anni di battaglie legali, al confinate del terreno dove è stato realizzato il “capannone della discordia“. Non solo, il Tribunale amministrativo - riferendosi all’edificio industriale di via Valle Romana - parla di "demolizione a cui quest’ultimo appare inevitabilmente destinato". Si chiude così una vicenda che si è sviluppata nell’arco delle due amministrazioni precedenti l’attuale e che vedrà adesso il Comune rifondere al privato i danni per i mancati introiti derivati dal fatto che nel capannone si era nel frattempo insediata un’attività economica concorrente a quella del vicino. Il Tar riassume tutto il percorso: nel 2009 il Comune di Passignano rilascia un permesso a costruire nel terreno confinate con l’officina. Un cittadino fa ricorso, il Tar lo accoglie e dice chiaramente che quella particella prevedeva la destinazione a sole attrezzature di pubblico servizio. Il Comune va avanti lo stesso, il capannone viene realizzato e vi viene avviata l’attività di un’altra autofficina. Il Comune a questo punto approva una variante al Prg che modifica la destinazione urbanistica dell’area interessata, estendendola alla localizzazione di officine e carrozzerie. Anche questa volta i cittadini si oppongono e la variante che viene impugnata sia dall’odierno ricorrente, sia dal terzo che aveva già ottenuto l’annullamento del permesso di costruire, viene a sua volta annullata dal Tar nel 2016. Il Comune presenta appelli a queste sentenze, che vengono riuniti dal Consiglio di Stato e respinti con sentenza passata in giudicato nel 2016. Eppure non è ancora abbastanza, perché "il cittadino – scrive il giudice – espone di avere vanamente insistito affinché il Comune di Passignano sul Trasimeno desse esecuzione al giudicato, ordinando la demolizione del capannone e la cessazione dell’attività, e di essersi visto costretto ad agire nuovamente dinanzi al Tar per l’ottemperanza" nel 2017. Dal canto suo l’attuale amministrazione, che ha ereditato questa spinosa vicenda, data la complessità, aveva già accantonato in via cautelare oltre 500mila euro dal bilancio comunale da destinare ad una eventuale condanna al risarcimento, la cui richiesta iniziale da parte del privato cittadino ammontava a circa 1 milione e mezzo di euro. Ma il Tribunale non ha riconosciuto al ricorrente il danno da deprezzamento del proprio immobile poiché nel frattempo questo non è stato venduto (concretizzando appunto un eventuale minore incasso) e perché il danno "sarà riparato in forma specifica dalla demolizione cui quest’ultimo appare inevitabilmente destinato". In altri termini, per questo aspetto nessuna perdita patrimoniale si è concretizzata.