REDAZIONE UMBRIA

Beverly Pepper si racconta: «Io, Todi e la linfa vitale dell’Arte»

Intervista alla pittrice e scultrice americana che dal ’72 vive in Umbria e che a 94 anni crea ancora opere straordinarie

Beverly Pepper, vive e lavora tra Todi e New York. A breve l’inaugurazione del suo anfiteatro-scultura per L’Aquila

di DONATELLA MILIANI

Todi, 27 dicembre 2016-Un posto incantevole nella campagna tuderte. Un giardino con grandi sculture, una casa che emoziona. Il rumore che arriva dallo Studio-laboratorio chiarisce che non si smette mai di essere artisti. L’americana Beverly Pepper, 94 anni appena compiuti, celebre e celebrata artista internazionale, vive e lavora in questo angolo di paradiso che ha scelto tanti anni fa insieme al marito, famoso giornalista, Curtis Bill Pepper. Preceduta dal suo Catone, un simpatico cagnone nero che la segue ovunque, si avvicina. Un accenno di trucco e un sorriso accogliente. «Andiamo a dare un’occhiata ai bozzetti in laboratorio?» dice in un italiano che tradisce l’accento americano mai perso nonostante viva in Italia dagli anni ’50. La seguiamo in quella che è un’autentica ’fabbrica d’arte e di idee’. «Questa è la grande scultura ambientale per L’Aquila – dice –. Un anfiteatro. Vede il palcoscenico? D’inverno funzionerà come pista di pattinaggio su ghiaccio».

Il progetto è in via di ultimazione, a finanziare l’opera, l’Eni. Ma qui un bozzetto ‘tira’ l’altro. Lei è sempre al lavoro?

«Certo. Ho anche un progetto per Venezia, in una delle sue isole artificiali: una cascata di vetro che si tuffa nell’Adriatico». Intanto i suoi collaboratori «impacchettano» sculture: 22 grandi opere, in cui è tornata a utilizzare acciaio inox lucidato. Dal 22 gennaio campeggeranno in una mostra a Los Angeles. E in primavera a New York, sua città natale

Qual è il suo materiale preferito?

«Sempre quello con il quale sto lavorando al momento».

Lei è nata a Brooklyn, ha studiato a Parigi e in Italia. Una passione per Roma prima e l’Umbria poi. Arte, amore...

«Beh, io nasco come pittrice figurativa. Nel 1952 la prima personale alla Galleria Zodiaco di Roma. A presentarla Carlo Levi.

Subito il massimo...

«Ho sempre pensato che la Fortuna nella vita passa. Bisogna avere la capacità di riconoscerla. Io ci sono sempre riuscita».

Poi è passata alla scultura.

«Sì, tutta ’colpa’ di mio marito. Mi spinse lui a lavorare il legno. La prima mostra? A New York e poi alla galleria Pogliani a Roma, con un catalogo di Giulio Carlo Argan».

Un altro colosso. Come Giovanni Carandente, direttore artistico delle Arti visive del Due Mondi. Il suo scopritore.

«Un incontro, era il 1961, che mi ha cambiato la vita. Mi chiese di passare dal legno al metallo. Voleva che imparassi a saldare. Così andai nella bottega di un fabbro a Trasvere. Accettò di insegnarmi il mestiere ma sono sicura pensava fossi una pazza. Ero una donna bella e giovane che gli chiedeva di lavorare con lui e lo pagava pure per questo. Pretese però di chiamarmi George, perchè lavorare con una donna gli faceva strano. Di lì a poco creai Il dono di Icaro. che è ancora a Spoleto..».

Quindi l’Italsider e anche Piombino dove ha realizzato le sue grandi opere en-plen-air.

«Già. Gli operai di Piombino all’inizio mi guardarono con sospetto. Poi capirono che ero davvero una che lavorava con passione. La pausa pranzo era un rituale da trascorrere tutti insieme. Mangiavo i loro stessi panini con la cipolla. Quando finì le sculture ripartii piena di regali e con 7 chili di peso in più...».

Le sue sculture sono state in mostra nei luoghi più importanti del mondo. Impossibile elencarle tutte così come impossibile è ricordare tutti i premi che le sono stati conferiti. A Firenze c’è ancora chi ricorda però la grande retrospettiva curata da Bruno Corà per i trent’anni di carriera al Forte Belvedere

«Una bellissima emozione. Agli Uffizi c’è un mio disegno».

Sente una responsabilità verso chi guarda le sue opere?

«Diciamo che gli artisti hanno il dovere di rispettare la civiltà. Ma sono inconsapevoli. L’arte a volte è fatta con gli sbagli. E poi, come detto, c’è la fortuna che devi saper riconoscere...».

Come e quando le viene l’ispirazione di creare?

«Non scelgo mai cosa fare. Io scarabocchio, disegno continuamente. Tra questi disegni spunta ogni tanto quello che poi sento di dover realizzare».

Ha sempre lavorato con materiale duri, difficili. Oggi, dopo tanta esperienza, può dire che tutto si può modificare?

«Ho sempre scelto non quello che si può fare ma quello che voglio fare. Una grande spinta a dare sempre il meglio. E’ sempre stato così, non cambierà... Per cui la risposta è sì».

Una figlia, poetessa, Jorie Graham, un figlio fotografo e regista, John Pepper. L’arte è un ’vizio’ di famiglia?

«Chissà. Ognuno è quello che è. Io amo i miei figli e anche la loro creatività mi fa molto piacere...».

Ha conosciuto grandi personaggi: Fellini, Antonioni, la Magnani, Guttuso e tanti altri artisti. Con Piero Dorazio però, un’amicizia speciale. Come lo ricorda?

«Era geniale. Avevamo feeling ma non nel senso di attrazione, era un legame artistico. Affinità. Lui era incredibile. Il primo italiano a scrivere un libro sull’arte contemporanea...».

Oltre a essere una grande artista lei è sempre stata anche una donna bellissima, affascinante e sexy. Suo marito era più orgoglioso o geloso?

«Era orgoglioso di me ma non ha mai interferito nel mio lavoro. Il nostro incontro? Un appuntamento col destino. Ci siamo conosciuti a Roma all’hotel d’Inghilterra. Era molto bello e affascinante anche lui. Dopo un mese eravamo già andati a vivere insieme...».

Il dono di otto sculture a Spoleto perchè?

«Il mio modo per ricordare e in fondo ringraziare Carandente».

Veniamo alla scelta di Todi.

«In verità è Todi che ha scelto me. Io e mio marito venivamo al ristrante Umbria già negli anni ’60. L’occasione di un’asta nel ’72, su questa proprietà. Non ce la siamo fatta scappare...»

C’è qualcosa che ha pensato per la città di Jacopone?

«Sì. Vorrei allestire qualcosa anche a Todi. Feci una mostra «Colomns »nel ’79 in piazza del Popolo: quattro enormi sculture che poi sono finite a Venezia. Magari si potrebbe provare a farle tornare qui...».

Come si è scoperta artista?

«Credo di esserlo sempre stata. Da piccola i miei lasciavano che sfogassi la mia creatività sui muri della cantina.... Da allora ho sempre scelto non quello che si può fare ma quello che voglio fare».

L’opera preferita?

«Quella che devo ancora realizzare...».