Diecimila chilometri con un'automobile del 1927

Emozioni / Il collezionista Gianni Morandi racconta la sua passione e le sue esperienze tra Mille Miglia, Dakar e tanto altro

Gianni Morandi insieme al copilota Marco Morosinotto

Gianni Morandi insieme al copilota Marco Morosinotto

Immaginate di arrivare fino ai confini del mondo con la vostra auto, ma non con un modello moderno, tecnologicamente avanzato e potente. Immaginate di farlo a bordo di una vettura che vanta alle spalle una storia sensazionale, una meccanica ormai passata e decisamente non all’avanguardia. Questo è il sogno realizzato da uno dei collezionisti italiani con più esperienza nel panorama delle auto storiche. «Quest’anno sono partito da solo con una macchina di cent’anni. Sono arrivato fino a Capo Nord e poi sono tornato indietro: 10.400 chilometri, tutti sulle strade secondarie». A parlare è Gianni Morandi, omonimo del celebre cantante, ma conosciutissimo tra gli appassionati di auto storiche per i suoi viaggi epici e il suo straordinario parco auto. Pilota, collezionista, restauratore e appassionato delle quattro ruote più rare, Morandi ha saputo trasformare la sua passione in una vera e propria missione. Una passione nata da bambino, racconta, quando restava incantato davanti a ogni motore, specie quelli più “vecchi”. Crescendo, si è fatto largo nel mondo del fuoristrada, dove ha vinto titoli a livello regionale, nazionale ed europeo. «Ho fatto una Dakar e correvo nelle specialità Challenger, Trial, Endurance, ma le auto d’epoca mi sono sempre rimaste nel cuore». A permettergli di iniziare la sua collezione è stato anche il suo mestiere principale, poiché per diciotto anni ha lavorato nella sicurezza come guardia del corpo: «Guadagnavo bene e investivo tutto in auto, ma non quelle che cercavano tutti. Compravo macchine strane, fuori moda, quelle che gli altri non volevano. E oggi hanno un valore incredibile». Uno dei sogni più grandi lo lega al suo cognome. «Mi chiamo Morandi e nel 1927 un pilota con lo stesso cognome, Giuseppe Morandi (insieme a Ferdinando Minoia), vinse la prima Mille Miglia alla guida di un’auto O.M. (Officine Meccaniche), azienda di Brescia. Era un nostro parente alla lontana. Il sogno mio e di mia figlia era poter partecipare a quella corsa con una O.M.». Per anni, però, l’auto giusta non si trovava. Poi nel 2016 un amico gli propose una vettura da restaurare: «Ce ne siamo innamorati subito. L’abbiamo sistemata e siamo riusciti a partecipare alla Mille Miglia del 2017, esattamente novant’anni dopo la vittoria di Morandi e Minoia. Mi hanno anche dato il numero 14, lo stesso dell’edizione del 1927». Il legame con l’O.M. 665 Superba Spider 2 posti è speciale: «È la macchina di mia figlia, l’avevo intestata a lei quando era piccola. Sarà l’ultima a uscire dal suo garage. Le chiamo “le mie bambine”». Per Morandi ogni vettura è un pezzo di vita, un ricordo di un’esperienza indimenticabile. Oltre alle Mille Miglia, la collaborazione con Pirelli ha aperto un altro capitolo importante: «Mi hanno chiesto di testare le gomme per auto storiche, come la Stella Bianca. Per il viaggio a Capo Nord mi hanno fornito un set speciale, con una mescola pensata per reggere almeno 12.000 chilometri. Ne ho fatti 11.000 e userò le stesse anche alla Mille Miglia di quest’anno, per vedere quanti chilometri riusciranno a reggere». L’amore per le auto d’epoca lo porta spesso in giro per l’Italia e anche all’estero, ma è attratto soprattutto dai modelli più antichi: «Mi affascinano le auto tra le due guerre, con l’avviamento a manovella e i freni solo posteriori. Quelle vere, impegnative da guidare. Non disdegno quelle degli anni ’60 o ’70, ma non mi emozionano allo stesso modo». Tra i tanti ricordi, uno rimane inciso: la prima Mille Miglia. «Era il 2017, l’emozione era così forte che ogni chilometro era una lacrima. La settimana prima avevamo avuto un problema al motore. Non sapevamo nemmeno se saremmo riusciti a partire. Quando ce l’abbiamo fatta... un sogno». Nonostante l’esperienza e le tante auto collezionate, Morandi rimane legato a un mondo fatto di amicizie sincere e passioni condivise: «C’è un amico collezionista, Procopio, ha 93 anni. Per me è come un secondo padre. Mi ha affidato la cura delle sue vetture, non riesce più a gestirle. Mi occupo anche delle auto di altri amici. Ho avuto straniere, inglesi, tedesche... ma oggi ho solo italiane. Mi emozionano di più». Il sogno nel cassetto? «Un’Alfa Romeo anteguerra. Ma vedremo. Se riuscirò “ad alleggerirmi” di qualcosa, magari ci penserò. Le macchine che compro devono emozionarmi, avere una storia, magari una vita sportiva. L’ultima l’abbiamo presa dopo due anni di trattative: una Fiat 1004 Zagato del 1950. Io dico sempre una frase ironica ma con un grande fondo di verità, cioè che è così brutta che diventa bellissima. Ne hanno costruite solo due, quindi è una rarità».