Da rottame abbandonato a coupé splendente Ecco com'è rinata questa Lancia Aurelia B20

Restauro / Luciano Giusti, collezionista di vetture d'epoca, l'ha ritrovata per caso in Calabria, lasciata a marcire in un campo. Un lavoro durato quattro anni ha trasformato la ferraglia in un'auto stupenda

Gli interni della vettura

Gli interni della vettura

Abbandonata per anni in una campagna calabrese, tra rovi ed erbacce, e riportata al suo antico splendore. È la storia della Lancia Aurelia B20 ritrovata e restaurata da Luciano Giusti, collezionista d’auto d’epoca toscano. La Lancia Aurelia è un'auto prodotta dalla Lancia dal 1950 al 1958: nello specifico il modello B20, splendida coupé ad alte prestazioni dall’attraente linea, è stata commercializzata negli anni che vanno dal 1951 al 1958. Per Luciano tutto inizia nel 2017, quando un amico calabrese gli segnala, tramite un vecchio conoscente, la presenza di una vettura abbandonata in provincia di Reggio Calabria e risalente appunto agli anni Cinquanta. Apparentemente un rottame del 1956, parzialmente distrutto, ma di fatto completo di tutto. «Una macchina dove non c’è plastica ma solo ottone e metallo. Quindi è stato così possibile ripristinarla e portarla al suo stato originale con tutti i pezzi originali. Pezzi tutti numerati, in quegli anni le macchine venivano fatte a mano», rivela Giusti, che grazie al numero del telaio e al registro storico della Lancia è riuscito a risalire al certificato di costruzione con i numeri di tutti i particolari che sono stati installati nella Lancia Aurelia B20. «In gergo si dice matching numbers», sottolinea Luciano, riferendosi all’espressione inglese con la quale si intende che un veicolo presenta la corretta corrispondenza tra i numeri seriali delle parti meccaniche e i registri di produzione del Costruttore. Il significato del termine considera tutti i componenti del veicolo quali ad esempio testata e basamento del motore, carburatori, differenziale, telaio e tutto ciò che lo compone. Nella maggior parte dei casi però, la dicitura viene utilizzata per identificare la sola corrispondenza tra telaio, motore e trasmissione. Per molti collezionisti e amanti di auto storiche, un esemplare con "matching numbers" suscita maggiore interesse e approvazione. Tornando alla nostra Lancia Aurelia B20, dopo averla acquistata Luciano l’ha portata in un centro di restaurazione, dove è letteralmente rinata. «Sono state ricostruite le lamiere, che erano marcite. È stata rimessa completamente a nuovo. È stato rifatto il motore, così come la tappezzeria e la carrozzeria», aggiunge Giusti, da sempre appassionato di auto d’epoca (ad oggi ne possiede ben 5 che utilizza principalmente nei raduni o in occasione di alcuni concorsi ma anche per godersi brevi giri in compagnia della moglie). «Ora la macchina è efficiente. Il proprietario era un Marchese spagnolo che viveva in Calabria, aveva la passione per le macchine ma poi questa l’ha lasciata lì in campagna, in un uliveto a cielo aperto, in un terreno di proprietà della nobile famiglia». Anche se, al momento del lancio, la B20 viene omologata per tre persone (tutte da ospitare sul sedile anteriore unico), si può tranquillamente affermare che questo modello inaugura una formula che riscuote un enorme successo nei successivi vent'anni, quella della “granturismo a 2 posti più 2 di fortuna”. Insieme alla quasi contemporanea Alfa 1900 Sprint, la Lancia Aurelia B20 è una delle più maneggevoli e veloci sportive italiane di quegli anni. Accreditata di una velocità massima di 160 km/h (ottenuta grazie anche a un rapporto al ponte più “lungo” rispetto a quello della variante berlina), la B20 si afferma immediatamente anche nelle competizioni. Malgrado un prezzo che non può che essere “consistente” (2.600.000 Lire al debutto), la B20 riscuote un immediato successo commerciale, tanto che, in meno di un anno, vengono venduti 500 esemplari. Tra i suoi ammiratori ci sono pure lo scrittore Ernest Hemingway e il ciclista Fausto Coppi, mentre il pilota Juan Manuel Fangio la paragona a una “coppa di matè” (l’infuso da cui gli uomini delle Ande traggono forza e fiducia). «Il lavoro di ristrutturazione è durato circa 4 anni, anche per via di una ricerca molto approfondita, e non sono mancate le difficoltà - fa sapere ancora Giusti -. È stato fatto ad esempio un lavoro certosino sulla tappezzeria, erano stati presi dei tessuti che però non erano idonei e quindi i lavori sono stati prima sospesi e poi fatti fare alla casa fornitrice. Ho voluto fare un restauro nella maniera più fedele possibile all’originale, con le giuste attenzioni per portare avanti il valore della macchina e non commettere errori. Il criterio delle auto d’epoca è quello di riportare la macchina agli antichi splendori, a come è uscita dalla concessionaria ai suoi tempi. Deve essere il più fedele possibile. La macchina piace, i complimenti non mancano».