
Il sipario non c’era. L’auditorium del Centro Giovanile Dialma Ruggiero della Spezia, dov’è andato in scena per la prima volta “Dirimpetto. Sinfonia d’un tratto di strada”, era stato allestito come uno spazio aperto. Attori e pubblico disposto a ferro di cavallo senza soluzione di continuità: chi era seduto poteva quasi sfiorare gli interpreti di questa pièce densa di significati, sentirne il respiro, catturarne sguardi, sudore ed emozioni. Sì, le emozioni: in primo piano durante la rappresentazione, esplose immediatamente alla sua fine. Questo esperimento non era figlio di un ordinario laboratorio teatrale, ma tramite l’arte ha fatto incontrare, sperimentare, rompere barriere e preconcetti mettendo insieme studenti e carcerati. Si tratta dei detenuti di Villa Andreino e degli allievi del laboratorio “No Recess! Niente intervallo”, con la direzione artistica di Scarti-Centro di produzione teatrale d’innovazione e la regia di Enrico Casale, nuovo capitolo dell’esperienza di “Per Aspera ad Astra - Come riconfigurare il carcere attraverso la cultura e la bellezza” ideato per utilizzare la cultura nell’ottica del reinserimento: un piano nazionale sostenuto da Acri e da 11 fondazioni di origine bancaria, tra cui la Fondazione Carispezia. Il titolo riflette la posizione fisica di due edifici che sorgono in via Fontevivo: scuola e casa circondariale, da cui provengono i 60 protagonisti dell’opera. "Hanno capito che quella era un’occasione unica e irripetibile per fare un lavoro artistico insieme", sottolinea Casale, che ha definito questo un "lavoro gioioso, rispettoso delle regole e dei rapporti umani". E sono proprio le parole dei protagonisti a testimoniare questo fattore. "Questa esperienza è stata totalizzante – spiega la studentessa Viola Ferro -: è stato come trovarsi a far parte di qualcosa che andava anche fuori dalla mia persona, mi ha dato molto da riflettere sulle potenzialità del teatro e quanto possa essere potente questo strumento. Ci siamo trovati in una nuova comunità, ho visto il carcere, prima per me un luogo estraneo e mi sono resa conto di come funziona".
Ed è un coro fra i detenuti. "Mi sono sentito veramente un artista, non più un detenuto; al termine avevo la sensazione di essere un professionista a tutti gli effetti, estremamente a mio agio nel ruolo che interpretavo. Stare con i ragazzi, dopo tutta la sofferenza provata negli ultimi anni, ha lasciato un segno che rimarrà per tutta la vita. Mi piacerebbe fare l’attore come professione. Nella mia solitudine è stato come incontrare una famiglia", ha spiegato Osman Lugo Perez. "L’esperienza mi ha trasmesso un’emozione unica e inaspettata: è stato molto piacevole lo scambio generazionale, il confronto con i ragazzi; sembrava che avessimo lavorato insieme da sempre", ha detto Christian Alberto Rotundo. Al debutto anche Alessandro Bertonasco. "Ho iniziato quasi per gioco, poi lavorando mi sono sentito veramente a mio agio ed ora che il percorso si è concluso ho come la sensazione che sia durato troppo poco. Ci siamo affezionati molto ai ragazzi, li abbiamo sentiti come figli ed è stato un onore lavorare insieme".
"Mi auguro vivamente ci possa essere un seguito. All’inizio nessuno di noi si rendeva conto della portata che questo evento così innovativo avrebbe raggiunto, tantomeno potevamo immaginare come la collaborazione spontanea con i nostri “dirimpettai” potesse arricchirci così tanto. In tutto il periodo di preparazione dello spettacolo, durante le prove, non mi sono mai sentito realmente in carcere: la magia del teatro è in grado di abbattere tutte le barriere. Ora vorrei pensare al prossimo spettacolo". Francesco Felici mette il sigillo su un progetto. Riuscito.
Chiara Tenca