"Voto a 98 anni? Contributo al Paese Con il pensiero sono già in cabina"

Il professor Ravagni di Pienza, una vita nel mondo della scuola, depose la prima scheda nell’urna nel 1946 "Prima c’era tanta partecipazione, ora i cittadini non hanno i nostri stessi stimoli. Colpa anche dei ’capi’"

di Massimo Cherubini

"La politica di oggi? Il rispetto per un diritto dovere come il voto? Tutto cambiato, a mio giudizio in peggio, rispetto al passato". Così la pensa il professor Gilberto Ravagni, una vita da insegnante e preside, 98 anni compiuti ieri.

Tanti ricordi, ad iniziare da quelli legati alle storie dei partigiani, a quelli delle sue tantissime esperienze elettorali.

"Il mio primo voto l’ho espresso nel 1946 quando si doveva anche rispondere al quesito sulla scelta tra Repubblica o Monarchia. Votai per la Repubblica, un risultato pieno di incertezze e di momenti di tensione"

Come si vivevano le prime elezioni, quelle fino agli anni Settanta?

"Tra la popolazione c’era una grande attenzione, partecipazione. Quando c’era un comizio le piazze erano piene. Nel periodo delle campagne elettorali si cercavano notizie, nei bar si parlava di politica. Con confronti animati ma seri, tesi a trovare punti di convergenza e non di rottura".

Torniamo al suo primo voto, quello del 1946. Ha un ricordo particolare?

"Sì perché venni chiamato a fare il segretario di seggio. Tutto dovuto ad un incontro che avevo avuto nel 1944 a Montepulciano, in casa del professor Bindi. In questa occasione conobbi l’onorevole Aldo Moro. Un incontro che ricordo con orgoglio. Mi chiese quali erano le mie prospettive di lavoro. Risposi che la mia vocazione era quella fare l’insegnante. Mi disse: ’fai bene, c’è tanto bisogno di far crescere il mondo della scuola, della cultura’. Nelle elezioni del 1946 Il professor Bindi venne nominato presidente di uno dei cinque seggi elettorali di Pienza. Mi chiese di fare il segretario. Così oltre all’emozione per il primo voto ebbi anche quella di assumere un incarico complicato".

Qual’è stato il suo politico di riferimento?

"In primis Alcide De Gasperi, poi a seguire diversi esponenti della Democrazia Cristiana".

Oggi qual’è quello che stima? "Anche se non è un politico spero che Mario Draghi lo diventi. Ha capacità, esperienza, intuito, autorevolezza per portare l’Italia fuori da tanti problemi". La differenza delle campagne elettorali dei suoi tempi e di quelli di oggi?

"Fra le prime a le ultime la differenza è come tra il giorno e la notte. Prima c’era grande partecipazione, attenzione. Si andava a votare quasi in massa. Si credeva nella politica, in chi mandavamo a rappresentarci. Progressivamente questo interesse, questa attenzione, partecipazione, è andata a scemare". Quale la causa del crescente disinteresse alla politica e alla partecipazione del voto?

"Tutto è legato al rispetto delle regole. Quando in una famiglia i ’capi’ litigano sempre, continuamente, dimenticandosi quelle che sono le condizioni di rispetto e civile convivenza, è difficile che i figli, quelli che devono poi crescere, garantire, il futuro del Paese, non ne risentano".

Pensa che questo sia anche il motivo che produce il grande astensionismo al voto degli ultimi anni?

"Tanti non vanno a votare anche perché sono privi degli stimoli che avevamo noi, quelli che votavano dagli anni Settanta agli anni Ottanta. Il non esercitare un diritto-dovere può essere inteso come il ’non interesse’ alla vita, alla crescita, del Paese. E questa, rispettando la Costituzione, deve essere affidata ai parlamentare che i cittadini devono eleggere".

Professore andrà a votare?

"Con il pensiero sono già nella cabina. Il fisico non me lo consente. Ne sono amareggiato perché da partigiano vorrei ancor oggi dare, con il voto, il mio contributo al Paese alle prese con tante difficoltà".