
di Pino Di Blasio
Monica Barni, cinque anni da vicepresidente della Regione, rappresentante senese nella seconda giunta di Enrico Rossi, spera che Eugenio Giani non torni indietro sull’assessorato alla cultura. "Sono convinta - è la tesi della Barni - che Rossi abbia seguito una strada innovativa, mettendo insieme cultura, università e ricerca. Ogni attività culturale deve nascere dalla ricerca, se vuole incidere davvero nella vita dei cittadini".
Tutto il contrario di una cultura di moda, con eventi spot...
"La Toscana ha un patrimonio culturale diffuso, materiale e immateriale. Fare cultura show è un vantaggio per chi già partecipa alla vita politica. Ma i grandi eventi, se non hanno legami con i territori, non lasciano niente. A parte qualche euro".
Un esempio positivo della sua politica culturale?
"Le residenze teatrali, le compagnie che abitano i luoghi. Si pensa a Monticchiello, ma c’è una rete di residenze in Toscana, da Anghiari a Pisa, protagoniste nella cultura e nelle relazioni sociali di comunità. La sfida del futuro si gioca nelle aree interne e marginali. La Toscana ha le potenzialità per vincerla, grazie alla legge sui beni comuni e alle cooperative di comunità".
Un esempio negativo?
"Non voglio litigare con nessuno. Ma credo che non servano più festival che sono format gestiti da agenzie esterne e scaraventati sui territori. Bisogna lavorare sulle grandi fondazioni culturali, sui patti tra Regione e Comuni per costruire sistemi di cultura. Niente cartelloni con eventi, ma piani strategici come quelli che abbiamo costruito con Rapolano e con Pistoia, già capitale della cultura".
Nel bilancio lei cita 580 milioni di euro di risorse impegnate, 600 atti, 56 accordi e protocolli, 8 leggi. Non è poco un budget di 120 milioni l’anno?
"E’ altissimo, invece. Siamo la Regione che spende di più per la cultura. La fetta del budget è di 36 milioni l’anno, la Lombardia investe 12 milioni".
Quanta parte di quei milioni è toccata a Siena?
"Cito gli investimenti sul Santa Maria della Scala, 5 milioni e mezzo di euro tra fondi europei e risorse dai bilanci. Il Santa Maria è il progetto capofila per il Medioevo in Toscana e la via Francigena. L’altro settore con potenzialità enormi a Siena è la Formazione musicale. Dal Conservatorio Franci all’Accademia Chigiana, dal Siena jazz al liceo musicale, si può dare corpo a un sistema di alta formazione musicale, legandosi con quello che c’è in Toscana. C’è una prateria di soggetti interessati, Chigiana e Scuola di Fiesole hanno già fatto rete".
C’è molta fibrillazione sui musei senesi...
"Non possiamo parlare dei musei come se giocassimo a Monopoli, spostandoli da una parte all’altra. Ci sono proprietà e norme diverse, un museo civico è tutt’altra cosa rispetto a uno regionale. Oggi il Santa Maria è un polo di rilevanza regionale, è entrato nel sistema museale nazionale. Sono requisiti che vanno mantenuti".
Resta poco spazio per parlare delle Università di Siena..
"L’ateneo si è consolidato come polo fondamentale per le Scienze della vita. Siena è questo, assieme a Tls il futuro si gioca sul distretto. Anche l’Università per Stranieri ha fatto parte di un dialogo continuo. Oggi siamo la Regione con il sistema di diritto allo studio più strutturato. Offriamo servizi di qualità, dalla carta unica dello studente ai trasporti, dalle residenze alle mense".
Cosa consiglia a chi verrà dopo di lei?
"Di conservare l’ufficio a Bruxelles di tutte le università toscane. E’ lì che si intercettano i fondi, un sistema compatto può suggerire politiche e destinazioni di risorse molto efficaci. Fare sistema è il presupposto per innovare. E l’innovazione si genera solo con la ricerca".