Uniti verso una nuova età Musei, così fan gli altri

Il ruolo dei poli museali senesi e della neonata Fondazione del Santa Maria. Ecco la chiamata alle armi dei luoghi della cultura. Sbirciando il mondo

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di Roberto Barzanti

I musei stanno affrontando una nuova età. La crisi di cui Jean Clair scrisse nel 2007 con allarmati accenti sembra tramontata e, anzi, sostituita da un fervore innovativo di molte situazioni esemplari. Con scettico distacco Clair criticava la trasformazione dei musei in monumenti di ostentata e compiaciuta esibizione: "Gli ampliamenti – ammoniva – le nuove ali, le continue aggiunte sempre più sofisticate hanno trasformato i vecchi edifici in smisurati luoghi di culto, simili a quei luoghi di pellegrinaggio in cui di fianco al santuario c’erano refettori dormitori, piccoli ospedali, negozi di souvenirs, destinati ad accogliere la massa dei pellegrini".

Affiorava una malcelata nostalgia per i classificatòri musei di un tempo, animati da spirito erudito-illuministico eo da entusiasmo patriottico (se non colonizzatore) e approntati per dar dignitoso ricovero a opere del territorio. Il panorama è cambiato vertiginosamente, e non perché i fenomeni individuati dall’ex direttore del museo Picasso siano scomparsi, ma perché sempre più la crescita di un museo si accompagna a laboratori e servizi che generano attività, mestieri, produzione, aumentando offerta di conoscenze, migliore capacità didattica, godibile attrattività. A Firenze l’Opera di Santa Maria del Fiore amplierà il magnifico Museo dell’Opera del Duomo acquisendo (entro il febbraio 2023) il contiguo Palazzo Compagni in modo da ricavare spazio per nuove opere ora relegate nei magazzini e un’adeguata razionalizzazione degli uffici della Fabbriceria. A Milano si lavora ad un nuovo Museo Diocesano. Il Museo Egizio di Torino avrà incisivi interventi di qui ai prossimi due anni. A Roma il Grande Maxxi assumerà un nuovo volto nel 2026 (investimento sui 37 milioni). L’elenco potrebbe proseguire. E all’estero? Entro fine anno sarà terminato l’Istanbul Modern concepito da Renzo Piano e notizie significative provengono da Giza, da Buffalo, Oslo, Glasgow: si profila una geografia strepitosa.

La neonata Fondazione Santa Maria della Scala dovrà essere il fulcro di un sistema ricco di presenze cooperanti. È proprio impossibile, ora che la Pinacoteca è autonoma, riprendere e aggiornare il discorso lasciato in aria di un accordo-convenzione che collochi nell’antico Ospedale un capitolo unico delle vicende artistiche europee? E anche in questo caso si tratta di unire in armonia componente fissa, esposizioni temporanee, laboratori e servizi: un’officina permanente nella logica della nuova visione del museo. Traguardi importanti sono stati raggiunti per il Duomo con la regia di Opera Laboratori. Si tratta di proseguire considerando il Santa Maria, la Pinacoteca e il Museo del Duomo tre poli, insieme a altri siti e all’intera sequenza dei Musei senesi, la sede-guida di programmi elaborati e coordinati da tutte le istituzioni preposte. Si ha l’impressione, invece, che ogni soggetto intenda perseguire una sua strada o salvaguardare gelosamente la sua fisionomia. Dalla nuova direzione della Pinacoteca non si é registrato alcun intervento innovatore.

La Galleria Nazionale dell’Umbria ha inaugurato nel luglio scorso un nuovo allestimento che chiarisce quanto possono mutare visibilità e comprensione di un patrimonio stabile se investito da una cultura critica al passo col futuro. Le attività relative alle biotecnologie ora al Monna Agnese troveranno ubicazione nella ex-caserma dei Vigili del fuoco, mentre residuerà in via del Poggio l’area linguistica. Soluzione che appare invero transitoria. Non sarebbe già il momento buono per porre l’annoso problema dello sbocco da dare alla domanda di ampliamento indispensabile per il Museo dell’Opera del Duomo, attuando un’operazione analoga a quella fiorentina?

Quando si ripropongono questi obiettivi non si chiama in causa il Comune come unico responsabile ma si suggerisce una convergenza operativa che fa difetto ed è da superare con slancio. Il Comune non può essere spettatore. Devono essere spinti a giocare un ruolo non secondario enti che trattano Siena con una distrazione insopportabile. La Banca d’Italia non avrebbe dovuto vendere il Palazzo delle Papesse all’impresa commerciale che vi si è installata. Prendendo a modello il progetto Gallerie d’Italia realizzato da Intesa Sanpaolo, finora in suoi palazzi a Milano, Napoli, Torino e Vicenza. E non sono da dimenticare i privati che hanno aperto al pubblico un Palazzo come il Chigi Zondadari o avviato piccole gallerie quale Fuoricampo, in sintonia con le sensibilità giovanili più diffuse. Il confine tra classico, antico e contemporaneo si è attenuato o dissolto. E i musei sono sfidati a reinventarsi, a essere centri vivi di incontri e di scoperte, di benessere spirituale. "L’arte – ha scritto Vincenzo Trione nel suo brillante “Artivismo” – sente l’ambiguità come condizione ineliminabile e fondativa".