Carlo Nepi*
Cronaca

Una bella dose di energia per cambiare l’idea di città

Non bastano piani e progetti, la pandemia ha rivoluzionato il senso degli spazi Non si governa il territorio con leggi regionali costituite da oltre 400 articoli

Come usciremo da questa straordinaria e per molti versi surreale esperienza della pandemia? Tra i temi più dibattuti spiccano la città e il suo atomo - la casa - da reinterpretarsi alla luce di una nuova commistione di usi che ha improvvisamente addensato lo spazio abitativo con funzioni legate al lavoro e allo studio. E’ un tema legato al principale dei nostri problemi, che riguarda la salvaguardia dell’ambiente e la salute di tutti. La crisi acuta delle città data da più di mezzo secolo. In alcune parti del mondo è ormai persino azzardato parlare di città.

In Italia, la patologica incapacità di programmare oltre l’orizzonte dei pochi anni (mesi?), legata alla cattura del facile consenso, impedisce di affrontare i problemi in modo strutturale e lungimirante; tutto si trasforma in banali soluzioni cash. Le città hanno, per loro natura, il passo lungo. La soluzione di qualsiasi problema che le riguardi non mostra alcun effetto nei tempi brevi; un cambio di direzione degli assetti, così come il momentaneo dissesto provocato da una trasformazione fisica, hanno bisogno di un necessario tempo di assorbimento. Non si cambia la natura o il destino delle città con una semplice azione progettuale. C’è bisogno di altro, occorre una strepitosa dose di energia e coerenza, nelle intenzioni e nelle azioni politiche e progettuali, oltre ad una notevole capacità di indirizzare gli interessi in campo verso finalità condivise, coerenti con la visione generale e mantenute tenacemente fino alla loro realizzazione. Le parti nuove delle nostre città sono le più vecchie, sono desuete, inefficienti, inquinate e inquinanti. Se rimanessero come sono o, addirittura, peggiorassero la loro condizione, non avrebbero futuro. Per quanto drammatica, questa esperienza pandemica ci ha rivelato che le nostre città possono però tornare ad essere vivibili, più belle, meno arcigne e pericolose, e meno abusate. Abbiamo scoperto che ci si può muovere meno, ma soprattutto possiamo muoverci meglio, evitando di farlo tutti insieme, intasando per ore le strade, ognuno singolarmente con la propria auto. Lo possiamo fare agendo collettivamente in modo più intelligente e utile, usando la gamma degli strumenti digitali che possono cambiare in meglio il ritmo circadiano delle città. Abbiamo anche capito che le nostre scuole sono, quasi tutte, inadeguate in quanto legate ad un modo vecchio di insegnare. Vanno completamente ripensati gli spazi della didattica, dello studio, della ricerca, della comunicazione dei saperi.

Lo stesso vale per gli spazi del lavoro e, di conseguenza, per quelli dell’abitare. Servono ancora gli uffici tradizionali, quando ciò che serve davvero è una linea internet di grande efficienza e un posto di lavoro che si può anche condividere? E’ più interessante avere, come nelle attività di ricerca, spazi dove incontrarsi e scambiare opinioni ed esperienze, piuttosto che costruire la propria cuccia piena di ninnoli e foto ricordo. Anche nelle residenze dovremo ripensare agli spazi interni in modo che abbiano maggiore duttilità e capacità di adattamento alla nuova pluralità di usi. Siamo nella condizione di poteredovere ripensare completamente la nostra idea di città. Va ripensato quindi anche il modo di pianificarla e governarla. Una legge urbanistica come quella denominata ‘Governo del territorio’ della Regione Toscana, la terza legge generale sulla gestione del territorio in 19 anni, costituita da 256 articoli e un’appendice di allegati normativi, che ha avuto bisogno di una ulteriore legge correttiva di semplificazione di 55 articoli e di un Regolamento di attuazione di altri 68 articoli e due allegati, definisce lo stato patologico della nostra quotidiana burocrazia urbanistica meglio di tante parole. E’ evidente che, in mezzo a questa jungla, la questione centrale non sia più la qualità del progetto ma quella di evitare reati, anche commessi in buonafede. Per ‘cambiare verso’ all’idea di città dobbiamo innanzitutto decostruire la cultura del sospetto che sta alla base dell’architettura legislativa che regola il territorio, trovare il modo di lavorare in forma coordinata tra enti e istituzioni, ridare fiducia alle competenze e alle esigenze dei cittadini, limitando l’intrusione pubblica al controllo delle regole di fondo e consentendo più spazio alle libertà dei singoli.

*Architetto