"Tra le numerose prove raccolte nel corso del dibattimento, in 31 udienze, una posizione di preminente rilievo nella decisione del collegio, hanno assunto i filmati delle videocamere di sorveglianza installate all’interno del reparto di isolamento della Casa di reclusione di San Gimignano, che hanno consentito di avere diretta e immediata cognizione di una fase del più ampio episodio oggetto di giudizio, qual’è quella verificatasi nel primo pomeriggio dell’11 ottobre 2018". Così si legge in una nota a firma del presidente del tribunale Roberto Carrelli Palombi sulla sentenza di condanna dei cinque appartenenti al corpo di polizia penitenziaria di Ranza a San Gimignano per il reato, in concorso, di torture e lesioni nei confronti di un tunisino di 31 anni durante il cambio di cella. Il video dunque di 4 minuti e 32 secondi è risultato determinante. "In attesa del deposito della motivazione (entro il 9 giugno prossimo, ndr) si informa che il collegio ha riconosciuto la natura di autonomo titolo di reato della fattispecie di tortura cosiddetta pubblica (o di Stato o verticale o propria) di cui all’articolo 613 bis comma 2, a tal fine valorizzando tra l’altro – osserva ancora il presidente del tribunale – gli obblighi costituzionali e sovranazionali gravanti sullo Stato italiano in materia di incriminazione degli atti di tortura quali quelli disposti, in primo luogo, dall’articolo 13 comma 4 della Costituzione e, soprattutto, dagli articoli 4 e 1 della Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani e degradanti (Uncat), oltre che dall’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cedu), così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo". Nella nota sul caso si ricorda inoltre che tre imputati hanno redatto "relazioni di servizio contenenti rappresentazioni e ricostruzioni false di quanto avvenuto" quel giorno.
"Le pesanti condanne di primo grado a cinque agenti del carcere di San Gimignano riprovano che a pagare lo sfascio del sistema penitenziario sono sempre e solo gli stessi: il personale penitenziario. Non è stata invece mai emessa una sentenza di condanna (figuriamoci se con pene così pesanti) contro un detenuto che ha aggredito un agente sino a procurargli ferite permanenti", interviene Aldo Di Giacomo, segretario generale del S.PP. (Sindacato polizia penitenziaria) annunciando "iniziative di protesta con visita del carcere di San Gimignano e altri in Toscana ed azioni di mobilitazione del personale fortemente scosso dalla sentenza". Sottolineata la grande differenza nel giudizio dell’opinione pubblica fra gli agenti che intervengono durante manifestazioni violente di piazza e le rivolte in carcere "con la differenza che gli agenti che contrastano tali comportamenti dei detenuti sono additati e perseguiti come torturatori", Di Giacomo ribadisce "che con la sentenza di San Gimignano è arrivato il momento di dire basta. Lo Stato ha perso l’occasione della stagione delle rivolte (tre anni fa, ndr) per imporre il suo controllo delle carceri e non lasciarlo nelle mani dei boss e criminali e adesso se la prende con gli agenti. Un comportamento da ’bandiera bianca’. Non ci stiamo e ci mobiliteremo per impedirlo".
Laura Valdesi