DIEGO MANCUSO
Cronaca

Malaparte proibito. Storia di un carteggio

"Erano tali il rispetto, la soggezione, che mio padre Loreno mi aveva inculcato verso quelle carte, che anche dopo la...

"Erano tali il rispetto, la soggezione, che mio padre Loreno mi aveva inculcato verso quelle carte, che anche dopo la...

"Erano tali il rispetto, la soggezione, che mio padre Loreno mi aveva inculcato verso quelle carte, che anche dopo la...

"Erano tali il rispetto, la soggezione, che mio padre Loreno mi aveva inculcato verso quelle carte, che anche dopo la sua morte, avvenuta nel 1966, quando aveva 55 anni, per un incidente sul lavoro, ho continuato a trattarle con estremo riguardo". Così Giordano Cioli, di Montepulciano, pensionato attivissimo nel mondo del volontariato e instancabile ricercatore di documenti storici, racconta il suo approccio con la corrispondenza che Curzio Malaparte lasciò nella casa di famiglia, nel 1950, durante la lavorazione de ’Il Cristo proibito’, l’unico film del giornalista e scrittore di Prato.

Un "fascio di lettere e cartoline, ben riposto in un canterano e legato a croce con lo spago che i contadini usavano per confezionare i salumi – spiega Cioli – che da bambino ho letto migliaia di volte, essendo l’unica cosa scritta, oltre ai libri di scuola, che potevo trovare in casa, al punto che mia mamma Elena cominciò a pensare che fossi vittima di una fissazione". Una curiosità che forse non si sarà mai tramutata in una mania, ma Giordano ammette che su quelle carte è nata la sua passione per la ricerca storica e per l’archivistica.

"Nel ’77 ero militare e, a Firenze, frequentavo i mercatini d’antiquariato: in quello della Fortezza da Basso – prosegue il racconto – ebbi la fortuna di poter acquistare altri documenti relativi a Malaparte, venduti, venni a sapere dopo, da Maria, sorella di Curzio". Cioli ha messo generosamente a disposizione di Massimiliano Bellavista, docente all’Università di Siena, il proprio archivio malapartiano; dallo studio del materiale è scaturito il libro ‘Malaparte proibito’, appena edito da Betti, che offre un profilo privato, a tratti inedito, del famoso e controverso letterato.

Il racconto di Giordano Cioli, che trova puntuale riscontro nelle carte, mette invece in luce aspetti della vita contadina del dopoguerra. "Era luglio (del 1950, ndr) quando, durante le riprese del Cristo proibito – ricostruisce Cioli – un violento temporale bloccò Malaparte sul set, impedendogli di rientrare in uno dei due alberghi che occupava, a Chianciano e a Bagno Vignoni. Si trovava a La Foce, meravigliosa località affacciata sui calanchi della Val d’Orcia, e chiese se si fosse potuto trattenere a casa di Loreno, mio padre, con il quale aveva già collaborato e stabilito un rapporto quasi di amicizia".

"Gli fu subito offerta – prosegue Cioli – la camera matrimoniale, si trattenne per tre giorni, poi ripartì, lasciando, appunto, quelle lettere e cartoline; i miei provarono a fargliele riavere ma non ci fu occasione né interesse da parte del destinatario. Per la popolazione della Foce, luogo di nascita di cui sono orgoglioso, la lavorazione del ’Cristo proibito’ fu una festa, dopo gli anni della guerra. Mio padre portava sul carro trainato dai buoi Raf Vallone e Elena Varzi, a pochi metri dall’elicottero che, avveniristicamente, Malaparte volle per le riprese aeree".