REDAZIONE SIENA

Ricostruita l’operazione marchio "Ac Siena sottocapitalizzata"

Ascoltati ieri per quattro ore i consulenti della procura . Il 31 maggio in aula . parla chi fece la stima

Si parlerà ancora di cifre milionarie nella prossima udienza del processo che vede al centro la cessione del marchio dell’Ac Siena, società poi fallita, alla ’Black & White communication’ per oltre 22 milioni di euro. Imputati, oltre all’ex patron bianconero Massimo Mezzaroma difeso dall’avvocato Floria Carucci, l’ex presidente di Banca Mps Giuseppe Mussari, assistito da Fabio e Giulio Pisillo, l’ex alto dirigente della Rocca Antonio Marino che si è affidato all’avvocato Lorenzo Contrada, due quadri sempre della banca, Alessandro Malfatti e Gianfranco Mariangeli. Il 31 maggio verranno ascoltati i tre professori che avevano effettuato una valutazione sul marchio per conto della procura ma verrà sentito anche dal collegio presieduto da Roberto Carrelli Palombi l’esperto che aveva fatto la stima, sempre del marchio, per conto dell’Ac Siena. Non è ancora giunto il momento dei vip del calcio italiano in questo processo dove ieri, dalle 15 fin quasi alle 19, hanno parlato per quattro ore e risposto alle domande degli avvocati i consulenti tecnici della procura. "Non possono essere ascoltati come tali ma come testimoni", attacca il difensore di Marino. Il pm Siro De Flammineis ribatte "che il processo deriva da uno stralcio del procedimento madre (già definito in primo grado, ndr)", rivendicando "che tutti gli atti già acquisiti fanno parte di questo processo". Il collegio si ritira ma bastano poco più di 10 minuti per decidere che parleranno come consulenti.

Si parte dalla ricostruzione della situazione economica dell’Ac Siena, fino a quando non si iscrisse al campionato. Con la società, si osserva, che "che supporta costi maggiori rispetto ai ricavi". E ancora: "Ha evidenziato di essere fortemente sotto-capitalizzata. I bilanci tendono a nascondere le perdite accumulate nel tempo", chiarisce il consulente il quale sostiene che la plusvalenza derivante dall’operazione del marchio sarebbe servita, questo sostiene del resto l’accusa, a consentire a manager e proprietà di non mettere dentro denaro. Tesi che le difese controbattono, come già era accaduto, sebbene gli imputati ad eccezione di Mezzaroma fossero diversi, nel processo madre sul fallimento della società.