
Il 6 marzo del 1880, a Canepina nell’alto Lazio, nasceva colui che ha segnato profondamente il rapporto fra fantini e Contrade, in quella continua evoluzione che condiziona tante dinamiche paliesche. Si tratta di Angelo Meloni detto Picino, che ha inciso per quantità e qualità: ha corso 52 carriere e ne ha vinte 13. L’arco di tempo fa meglio comprendere il peso della sua presenza: esordisce nel Nicchio il 4 luglio del 1897 e conclude il suo percorso sul tufo il 2 luglio 1933 nella Lupa. E’ dunque il primo fantino moderno di una Festa premoderna che sta cambiando, che poi arriverà nel secondo dopoguerra ad un professionismo di cui oggi vediamo ulteriori evoluzion.
Picino cambia la storia del Palio a cominciare dal modo di allenarsi, di gestire il cavallo nei quattro giorni, di incidere anche sulle scelte delle dirigenze. Sebbene in gioventù abbia corso una volta nella Torre, il Meloni è stato il fantino di riferimento per molti anni di Fontebranda, il che non significava solo vestire spesso quel giubbetto, ma che andare in altri rioni e vincere, era il miglior biglietto da visita per garantire all’Oca di essere un ostacolo per la rivale. Un modo di gestirsi simile a quello, decenni più tardi, di Aceto.
Si allena con costanza, segue regole mai scritte, tesse trame sempre a vantaggio del rione dove corre, e soprattutto riesce a guadagnare anche quando non trionfa. Una nuova era sta iniziando. E quando le trame si fanno audaci, come nel luglio del 1930 va nell’Onda per impedire la vittoria alla Torre, non si tira indietro, anche se questo porterà all’inevitabile rottura proprio fra Malborghetto e Salicotto. Ci vuole bravura ma anche coraggio e Picino ne aveva da vendere. Anche quando, ormai vecchio, tenta nella Lupa una vittoria a sorpresa, ma Ganascia nella Tartuca lo nerba impietosamente, quasi lo umilia, facendolo cadere in modo violento. "Perché mi hai nerbato così, sono un povero vecchio!" chiede Picino ansimante dopo la corsa. "Perché sei sempre una volpe" risponde Ganascia.
Massimo Biliorsi