REDAZIONE SIENA

Olmastroni, il ’non artista’ più noto

Una foto una storia Tanti drappelloni corretti con la sua sapienza, i suoi due Palii e i trompe-oeil realistici

Ci restano molte cose di Cesare Olmastroni, sempre condite dalla sua proverbiale serenità. Un grande artista che si scherniva spesso delle proprie capacità: sicuramente un articolo come questo lo avrebbe più imbarazzato che compiaciuto. Ma era fatto così. Tanti anni trascorsi nella penombra degli uffici comunali: quanti drappelloni di grandi artisti ritoccati e, in un certo senso, salvati alla storia con doverose aggiunte. Lui preferiva non raccontare di questi eccelsi rimedi con il suo pennello.

Primo fra tutti quello dell’agosto del 1977 di Ernesto Treccani, che resta splendido nella sua scarna bellezza ma che il buon Olmastroni ricolloca con i doverosi riferimenti storici. Poi i suoi due: quello "garibaldino" del 2 luglio 1982 e quello con Cecilia Rigacci del 16 agosto 2013. E spazio poi a tutta la sua bella produzione: paesaggi, ritratti, sfondi, il tutto con una quasi maniacale voglia di riprodurre il bello del mondo e del microcosmo senese.

Olmastroni era volutamente un "non artista" nel senso più abusato e inutile del termine. Tutto arrivava spontaneo, vero, naturale. Ricordo un episodio in casa di un amico editore: Olmastroni gli aveva realizzato in una parete un trompe-oeil così realistico, una finestra che si apriva su una veduta su Siena, che un volta un invitato aveva appoggiato, o aveva creduto di appoggiare, un bicchiere su quel davanzale, frantumandolo in una caduta che aveva poco di accidentale. Un realismo che non nascondeva certo il suo stile, la sua inconfondibile firma, lo vediamo in questa serena foto di Mattioli. Proprio alla fine del marzo del 2017, il buon Cesare se ne andava. Ma, come succede a chi ha saputo creare adoperando la propria sensibilità, non ci ha lasciato soli. Ci sono le sue opere, viste in una mostra ad esempio a Palazzo Patrizi, c’è il suo indelebile ricordo di persona a modo, leggera e profonda.

C’è il suo garbo, la sua cortesia, il saper e voler stare al proprio posto. Tanto è la sua arte che parla e lo farà sicuramente ancora a lungo. Quando il talento è soltanto naturalezza: probabilmente apriva solo gli occhi e una finestra sulla città ed entravano l’aria colorata di blu, l’amore, i rumori ed i fiori. E quel rosso dei mattoni e del tramonto. Una sorta di ispirato medium fra noi e l’incanto di una città che amava quanto il suo mestiere.

Massimo Biliorsi