
Pier Luigi Fabrizi ed Emilio Tonini
Siena, 9 novembre 2021 - «Non sono un politico ma un tecnico, che ha fatto questa esperienza in un momento in cui l’apertura verso la società civile era maggiore rispetto ad oggi. Si discute molto poco su progetti strategici e industriali, a me sembra, da quanto leggo sui giornali, che la discussione sulle nomine degli organi di Banca Mps abbia un sapore fortemente politico".
Il 30 marzo 2006 Pier Luigi Fabrizi chiuse così, rispondendo alla domanda di un giornalista, i suoi quasi otto anni di presidente della Banca Mps. A fine aprile ci fu l’assemblea degli azionisti che avallò la nomina di Giuseppe Mussari, passato dalla Fondazione alla Banca. E il riferimento alla prevalenza della politica fu particolarmente amaro per un presidente che aveva cercato di cancellare l’etichetta di ’banca rossa’ affibbiata al Monte, di istituto dominato dalla politica locale.
L’ACQUISIZIONE Il primo colpo di Pier Luigi Fabrizi fu l’acquisto di Banca Agricola Mantovana. "L’Opa sulla BAM rappresenta il ricordo più bello del mio periodo al Monte - dice oggi l’ex presidente -. Si trattò della prima operazione del genere nei confronti di una banca popolare, cioè di un soggetto che risultava estremamente difficile da acquisire per la presenza all’epoca del meccanismo del voto capitario. Di quell’operazione conservo intatti nella memoria la determinazione, l’impegno e l’unità di intenti con cui la Banca buttò il cuore oltre l’ostacolo. Le trattative furono estenuanti, ma per il Monte (data la sua immagine di banca grande ma governata da logiche localistiche) è sempre stato così quale che fosse il soggetto da acquisire. Quella volta si trattava di vincere non solo per rimediare all’insuccesso dell’operazione con la Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto ma, soprattutto, per ricreare una presenza al nord in gran parte venuta meno a seguito della cessione del Credito Commerciale e del Credito Lombardo".
L’ASTA AL RIALZO Pochi mesi dopo Mantova, il Monte fa rotta verso il Salento e acquisisce, per 2.500 miliardi di lire, Banca 121, strappata a Sanpaolo Imi dopo un’asta al rialzo. "L’acquisto della Banca del Salento è stata un’operazione di natura esclusivamente industriale - è il mantra di Fabrizi -. Si trattava di portare avanti, dopo l’acquisizione della BAM nel nord est, e in coerenza con la strategia del polo aggregante federativo allora perseguita, ulteriori linee di espansione territoriale nel nord ovest e nel sud est del Paese. Le attenzioni della Banca furono rivolte in contemporanea alla Banca Regionale Europea e, appunto, alla Banca del Salento. Con la prima le nostre offerte non ebbero successo. Ci orientammo decisamente verso la seconda, anche perché rappresentava all’epoca un soggetto all’avanguardia nello sviluppo della strategia di diversificazione integrata dei canali di distribuzione (sportelli tradizionali, promotori finanziari, sistemi on line). L’analisi fu molto approfondita (data room, due diligence, ecc.) e caratterizzata da numerosi passaggi in Consiglio di Amministrazione. Il prezzo che si determinò, pagato in contanti solo per 600 miliardi di lire (pari al 24%) e in azioni per i restanti 1.900 miliardi di lire, fu il risultato del meccanismo di mercato dell’asta coordinata da un soggetto di elevato standing e della presenza di un concorrente molto agguerrito. Aspetto, quest’ultimo, a dimostrazione del grande interesse industriale che la Banca del Salento suscitava"
L’OPPORTUNITÀ PERSA La trattativa principe di quegli anni fu con la Banca Nazionale del Lavoro. La fusione sulla carta aveva un grande senso industriale, ma poi quando si passava a discutere di concambi, di assetti proprietari e di governance le cose si complicavano. "La possibile operazione con la Banca Nazionale del Lavoro - è la versione di Fabrizi - ha vissuto varie fasi dal 1998 al 2005. In ogni momento è mancato sempre qualcosa. Nel 2005, quando l’operazione svanì definitivamente, feci ricorso, in un comunicato stampa, a un proverbio popolare: quando c’è stata la farina non c’è stato il sacco e viceversa. Mi riferivo alla contrarietà ora dell’uno ora dell’altro dei vari decisori locali e nazionali. Quello che è certo è che si è trattato di una grande opportunità persa a causa della miopia di alcuni: la Banca avrebbe risolto in via definitiva il problema dimensionale e la Fondazione sarebbe potuta diventare un’azionista di rilievo di un grande soggetto bancario nazionale".
LA LEVA DELLO SPORT Furono anni in cui Siena era capitale anche nello sport, con il Siena in serie A e la Mens Sana Basket che iniziava a vincere scudetti e coppe, grazie al Monte. "Le sponsorizzazioni sportive, in particolare quelle della Mens Sana Basket e dell’A.C. Siena ma anche quelle di altre società minori - fa notare Pier Luigi Fabrizi - rappresentarono all’epoca una scelta di marketing strategico che fece seguito a quella del ricorso a un grande testimonial, il maestro Luciano Pavarotti. Attraverso di esse si voleva rafforzare, in maniera originale e tramite lo sport, veicolo trainante e oggetto di ripetuti passaggi nei media, la diffusione del nome e dell’immagine della Banca e del Gruppo sul territorio nazionale e in particolare tra i giovani. L’attenzione è sempre stata rivolta principalmente alle società sportive senesi, ma questo faceva parte della politica di attenzione al territorio che trovava un’altra fondamentale espressione nel rapporto privilegiato con le Contrade".