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Long Covid, quando il virus non passa "Dopo la malattia seguiti 400 pazienti"

La pneumologa della Covid Unit delle Scotte, Elena Bargagli, fa luce sul ’secondo tempo’ del Sars-Cov-2 "Il 20 per cento dei pazienti sviluppa fibrosi polmonare. Ma ci sono anche depressione e affaticamento"

‘Long Covid’ ovvero i danni lasciati nel tempo dall’infezione da Sars-Cov-2. Il tempo necessario per riprendersi dal Covid-19 è differente da persona a persona: la maggior parte recupera completamente entro i primi mesi ma alcune manifestazioni cliniche possono durare più a lungo. In questo caso si dice che le persone soffrono di ‘Long Covid, ad indicare l’insieme dei disturbi che permangono dopo l’infezione. Ne parliamo con la professoressa Elena Bargagli, pneumologa della Covid Unit alle Scotte e responsabile del centro di riferimento regionale per le malattie rare polmonari; visto che la malattia indotta dal Coronavirus è una malattia respiratoria acuta.

Professoressa, i pazienti Covid sono seguiti dopo le dimissioni?

Le Aziende ospedaliere universitarie toscane, su indicazione della Regione, fanno follow up sui pazienti dimessi. Alle Scotte richiamiamo i nostri pazienti a distanza di 3, di 6 e di 9 mesi: i pazienti che hanno sviluppato forme gravi della malattia sono richiamati con un timing più stretto, mentre quelli con forme più leggere, quindi senza compromissione respiratoria, tornano a distanza di 6 e 12 mesi. Il programma ha avuto un’adesione enorme, di oltre l’80 per cento dei pazienti curati per Covid: ad oggi ne abbiamo seguiti più di 400.

Che controlli sono?

A tutti viene fatto l’esame del sangue, esami infettivologici, di coagulazione, poi valutazione radiologica con Tac ai polmoni, spirometria, valutazione polmonare, test del cammino con valutazione del fisioterapista. Ora stiamo implementando il follow up con valutazioni e coinvolgimento della cardiologia e neurologia. Perché le conseguenze post Covid non sono solo a livello respiratorio, polmonare: il Sars-Cov-2 ha un coinvolgimento sistemico, di tutti gli apparati. Stanno emergendo sempre più frequenti le manifestazioni di affaticamento, oltre che disturbi cardiaci. Vanno poi coinvolti diabetologi e endocrinologi e anche l’otorino per il classico disturbo dell’olfatto e del gusto.

Quali sono i danni nel tempo?

Il 20 per cento dei pazienti Covid sviluppa fibrosi polmonari. Spesso si manifestano anche infezioni secondarie, ovvero altre infezioni che insorgono quando si abbassano le difese come accade con la malattia da Sars-Cov-2, e sempre con danno ai polmoni. Quello che colpisce di più oggi nelle valutazioni dei pazienti seguiti è che il 70 per cento dei malati si ritrova affaticato e con sintomo specifico di difficoltà di concentrazione. Questo perché il virus ha recettori a livello del sistema nervoso, per questo il coinvolgimento sempre più frequente nei follow up della neurologia. Poi gli psichiatri confermano l’insorgenza di depressione: c’è un vissuto durante la malattia che si ripercuote al rientro nel sociale, nel momento del recupero del proprio ruolo.

Ondata Omicron. È più light?

I pazienti vaccinati hanno un decorso meno aggressivo e spesso non accusano sintomi respiratori; nei non vaccinati invece la variante ha le stesse caratteristiche delle precedenti e qui si hanno le situazioni più gravi. Direi che oggi sono aumentati i pazienti positivi, ma non sono sintomatici.

Come si spiegano i tanti decessi attuali?

Sono pazienti fragili, con co-morbilità. Abbiamo notato che muoiono persone che non hanno avuto una risposta anticorpale adeguata, protezione dal vaccino: sono gli oncologici, pazienti dell’ematologia, trapiantati, immunodepressi in conseguenza di terapie in corso. Poi ci sono gli anziani, pazienti con una situazione clinica già compromessa, su cui il virus è la goccia.

Quale è la sua previsione?

Trattandosi d un virus che muta è difficile esprimersi, ma siamo fiduciosi che la scienza possa produrre terapie sempre più adeguate. Oggi dobbiamo studiare e capire perché ci sono pazienti che sviluppano polmoniti interstiziali e quali pazienti possono sviluppare malattie gravi. Quel che è certo è che con il virus avremo ancora a che fare: il virus è diventato endemico, circola e contagia. La sfida per l’ospedale è continuare ad assicurare le attività in presenza del Covid ed extra Covid.

Paola Tomassoni