
Voci sulla ‘Fattoria di Chiusdino’ a Pian di Feccia, fondo agricolo di 351 ettari, venduta il 30 agosto 2007 dalla Società Cooperativa Agricola San Galgano, si rincorrevano da tempo. Voci di un investimento della criminalità organizzata su quelle porzioni immobiliari rurali: fondo, vecchi fabbricati e annessi, per una consistenza catastale ed un valore commerciale di 5 milioni circa. Prezzo di vendita: sui 4 milioni tramite bonifico e parte in assegni. Quattordici anni più tardi arriva il sequestro preventivo (finalizzato alla confisca) del complesso, chiesto dai pm della Dda di Firenze Giuseppina Mione e Giulio Monferini e disposto dal giudice Angelo Antonio Pezzuti a carico di due personaggi noti tra Siena e Arezzo.
Due imprenditori agricoli: Francesco Saporito, crotonese, prossimo agli 80 anni, spesso in questa zona della Toscana per affari. Ed Edo Commisso, 56 anni, catanzarese, da anni trapiantato qua, sta a Terranuova Bracciolini. Saporito e Commisso sono indagati per associazione mafiosa e impiego di denaro di provenienza illecita per "aver impiegato – secondo Dia toscana diretta da Francesco Nannucci e Mobile di Firenze del dirigente Andrea di Giannantonio un fiume di denaro, cash e tracciato, "riconducibile alla ‘ndrangheta, cosca Grande Aracri di Cutro (Crotone) e alla locale di Petilia Policastro ad essa affiliata. La ‘ndrina Grande Aracri, da tempo auge, è operativa specie in Emilia-Romagna (Parma, Piacenza, Brescello, Fidenza e Salsomaggiore), Veneto (Verona), Lombardia (Mantova e Cremona), e all’estero (Germania). Tra le attività illegali droga, false fatturazioni, estorsioni, addirittura il servizio di catering dei pasti di un Cara per migranti. Saporito e Commisso avrebbero impiegato il denaro sporco nella propria attività agricola, di fatto essendo "a disposizione delle cosche per investimenti con proventi derivanti dalle attività criminali della ’ndrangheta".
Per l’acquisto ci fu prima il passaggio di un milione e mezzo cash a parte venditrice depositato in banca a partire dal 21 dicembre 2006. Il tutto però senza "operazioni anomale o sospette di grosso importo, ma cercando di occultare gli impieghi nel contesto della ordinaria operatività delle attività commerciali..." Commisso è indicato come "intermediario dell’affare (presentò lui Saporito ai venditori, ndc) e "incaricato dalla cosca di sovrintendere agli interessi della stessa in Toscana e individuare occasioni d’investimento"; Saporito il "referente e garante del buon esito dell’affare anche nell’interesse della cosca".
Le dichiarazioni di un testimone di giustizia, Salvatore Muto hanno dato un impulso notevole: "Ero incaricato di verificare la corretta gestione dell’azienda per la cosca. C’era stato un contrasto tra il prestanome che aveva ricevuto i soldi per l’acquisto e i capi della organizzazione: dicevano che non arrivavano i soldi dall’investimento. I titolari della impresa dovevano mettersi a posto con la cosca. Dovettero intervenire capi cosca di giù per dirimere i problemi..". "L’azienda agricola fruttava soldi e il titolare grazie ai soldi della ’ndrangheta doveva versarne una parte". "Saporito doveva restituire alle cosche il denaro che gli avevamo messo a disposizione per l’investimento di San Galgano...". "Nicolino Grande Aracri volle occuparsi di tutti questi investimenti della cosca per far sapere che aveva il controllo di tutto...".
E’ dello stesso anno, il 2007 – una vicenda aretina (archiviata) su legami tra Pier Luigi Boschi, padre dell’ex ministro e Francesco Saporito per l’acquisto – a Civitella Val di Chiana – di Fattoria di Dorna, già dell’Università di Firenze: 303 ettari di terreno e 12 immobili. La tenuta era stata messa all’asta poi con un rogito ne diventò proprietaria la cooperativa “Fattoria di Dorna Società Agricola” costituita da Boschi e l’imprenditore calabrese Saporito, in diversa percentuale.
giovanni spano