REDAZIONE SIENA

Dante e l’invidia per i senesi ’gente vana’

Nella Commedia tante citazioni di personaggi e leggende della città. Come l’acquisto del porto di Talamone e le ricerche della Diana

E’ l’anno di Dante e ovunque si stanno organizzando iniziative per celebrare il Sommo. A maggior ragione nelle località che nella Commedia possono vantare menzioni, lusinghiere o malevoli che siano. Anche Siena può compiacersi di citazioni dantesche. Al punto da supporre che le frequentazioni senesi di Dante gli avessero consentito conoscenze ravvicinate di fatti e personaggi legati alla città. Nella Commedia troviamo richiamate le ambizioni espansionistiche di Siena con l’acquisto del porto di Talamone, le ostinate ricerche della Diana (il leggendario fiume sotterraneo). Le narrazioni popolari della Brigata spendereccia e della Pia de’ Tolomei. Così come troviamo una galleria di personaggi all’epoca già iscritti nella memoria storica e nella leggenda di Siena: Provenzano Salvani, Sapìa, Mino Pagliaresi, Pier Pettinaio.

Ma una domanda sorge spontanea. Qual è la vera idea che Dante si era fatto dei Senesi? Inevitabile non richiamare quei versi che concludono il XIII canto del Purgatorio quando la nobildonna Sapìa Salvani, la cui anima vaga tra gli invidiosi (fu invidiosa del nipote Provenzano) manifesta il desiderio di far giungere sue notizie ai familiari chiedendo al Poeta di farsene ambasciatore. E fornisce a suo modo l’indirizzo di casa: "Tu li vedrai tra quella gente vana che spera in Talamone, e perderagli più di speranza ch’ha trovar la Diana; ma più vi perderanno gli ammiragli." (ma a perderci di più saranno gli appaltatori). Del resto, già nel XXIX canto dell’Inferno il Poeta aveva ironizzato sulla fatuità dei Senesi. Accade quando Dante e Virgilio giungono alla bolgia dei falsari e vedono due anime l’una appoggiata all’altra. Una delle due dice di essere Griffolino d’Arezzo, il quale – tiene a precisare – si trova all’Inferno non in quanto falsario, ma per uno scherzo finito in tragedia. Aveva millantato ad Albero da Siena di essere capace di volare, così che il nobile senese chiese di insegnarlo anche a lui; non potendo, ovviamente, mantenere la promessa, fu denunciato al vescovo di Siena e condannato al rogo. Dante, allora, chiosa questo racconto evidenziando la vacuità dei Senesi; così fatui e vanitosi da superare persino i Francesi ("E io dissi al poeta: Or fu già mai gente sì vana come la sanese? Certo non la francesca sì d’assai!").

Dunque, parole sferzanti, quelle di Dante verso la gente di Siena. A quella stessa gente piace, però, fare dell’opinione dantesca un’esegesi più sottile. Visti i giudizi virulenti che il Poeta distribuisce a destra e a manca, ai Senesi non è poi così andata male. Fino a far sorgere il sospetto che l’Alighieri – assolto l’obbligo della paternale – volesse meglio dire: sì, gente fatua questi Senesi, assurdi, bislacchi, presuntuosi; ma – felici loro! – forse anche da invidiare.

Luigi Oliveto