
Nei ventuno anni da direttore della Neurochirurgia delle Scotte, il dottor Giuseppe Oliveri raramente si è prestato alla ribalta mediatica,...
Nei ventuno anni da direttore della Neurochirurgia delle Scotte, il dottor Giuseppe Oliveri raramente si è prestato alla ribalta mediatica, se non quando costretto ad uscire per leggere i bollettini giornalieri sulle condizioni di Alex Zanardi e del campione del mondo ’Pablito’ Rossi, entrambi operati nel 2020. E anche a distanza di anni il neurochirurgo lascia trapelare ben poco: "Per quanto riguarda Zanardi ho rispettato la privacy richiesta dalla famiglia. Del resto il nome non cambia il modo nè la motivazione del lavoro: non è più provante operare un paziente noto che un ragazzo di 16 anni in gravi condizioni".
Poi c’è stato Paolo Rossi, nella fase finale della malattia: "Lo abbiamo avuto in cura per sei mesi - rivela Oliveri –, ma la sua presenza alle Scotte è stata rivelata solo dopo la morte. Tutto il reparto gli è stato dietro, senza farsi sfuggire la notizia. Ho passato tante serate con lui davanti alla tv a guardare partite di calcio, perché fa parte della cura del paziente. La malattia è parte della vita normale e non deve interrompere i rapporti".
Empatia con il paziente e correttezza hanno contrassegnato la professionalità di Oliveri: "Tante volte mi è stato chiesto quanto fosse lo stress di avere a che fare con i media. In realtà, quando sei stato costretto a dare notizie tragiche alla mamma di un ragazzo in gravi condizioni, nulla ti può pesare di più. Ho ricordi dolorosi e indimenticabili, ma devi rimuoverli, perché il giorno dopo devi tornare ad operare ed essere lucido. Ho passato anche 27 ore ad operare. Il paradosso? Il tempo ha fatto di me un inaffidabile per i figli (cui è dedicato il libro) e uno assolutamente affidabile per l’ospedale".