
Rolando Bernacchini e Massimiliano Biagi
Gaiole in Chianti, 20 ottobre 2015 - «UNA concentrazione di cinghiali terrificante che impedisce all’azienda di lavorare», denuncia Rolando Bernacchini. «Si mette a rischio l’unica economia vera del Chianti, creando difficoltà ad imprese che vantano secoli di storia», incalza Massimiliano Biagi. Parlano di ‘mandrie’ di ungulati. E ipotizzano l’esistenza di una sorta di economia sommersa, così la definiscono, «che ruota intorno a questi animali così forte da superare anche la tradizione del vino d’eccellenza. Speriamo di sbagliarci, naturalmente. Ma negli ultimi anni è stata un’escalation per quanto riguarda la presenza degli ungulati». Eppure Gaiole è stato indicato, tempo fa, come il miglior luogo dove vivere in Europa. Anche se la ‘compagnia’, quella dei cinghiali appunto, risulta decisamente ingombrante per un territorio d’eccellenza. «Devastante», per dirla con Bernacchini e Biagi, rispettivamente amministratore delegato dell’Azienda Rocca di Castagnoli e direttore agronomo della ‘Barone Ricasoli’ di Brolio. Che scendono in campo, condividendo problemi e timori con altri colleghi come l’amministratore del Castello di Meleto, per sollevare il velo sulla condizione di disagio che vivono poli produttivi agricoli capaci di scrivere la storia del Chianti.
Segnale chiaro: basta indugi. Servono soluzioni. «Veniamo alle cifre, così c’intendiamo meglio. Castagnoli ha circa il 10% di superficie vitata, 70 ettari. Il 90% della produzione è di Chianti classico. Già lo scorso anno i cinghiali hanno massacrato sei ettari usati per la riserva. Non è stato raccolto neppure un grappolo. Nel frattempo ho protetto con la recinzione metallica consentita dal Comune, comunque visibile, quasi tutti i vigneti spendendo complessivamente 80mila euro. Senza contare le riparazioni continue perché scavano buche anche di 70 centimetri per entrare. Altri, certo non si tratta di ungulati, tagliano addirittura le recinzioni che siamo costretti a sanare pressoché giornalmente», lamenta Bernacchini. Le cifre, si diceva. «Ebbene, hanno rovinato uno dei nostri vigneti più importanti, quello dove si produce ‘Stielle’ di cui ci sono documenti già nel 1153. Diventerà un bosco, se continua così. In più sono stati mangiati ettari realizzati ad alberello. E’ sparito insomma un prodotto top che avrebbe fruttato circa 30mila bottiglie. Non sono distante dal vero se ipotizzo un mancato introito di 450mila euro. Un anno, due forse si può reggere. Poi ci sono 70 dipendenti da pagare». «A Brolio, come a Castagnoli – rafforza il concetto Biagi – sono stati compiuti investimenti, nonostante la crisi che insiste dal 2008. Chiediamo di essere ascoltati, rivendichiamo un’economia vera. Siamo contadini, non pretendiamo scorciatoie quanto piuttosto di lavorare sodo, produrre buon vino ed esportare, mettendoci tanta passione». Casomai non bastasse l’assalto degli ungulati – peggio dell’esercito degli orchi agli ordini di Sauron nel Signore degli anelli –, c’è anche quello dei caprioli. «Il cinghiale fa il danno diretto sull’uva, questi ultimi iniziano dal germogliamento, già a marzo-aprile. Un danno ancora maggiore. Per piantare un vigneto servono 50mila euro ad ettaro, vorremmo riuscire a vederlo entrare in produzione», invoca Biagi. Danno economico, al paesaggio, in prospettiva ricadute letali sull’occupazione. Cosa si aspetta ancora ad intervenire?