ORLANDO PACCHIANI
Cronaca

"Chiudere le Papesse è stato un errore senza avere piani alternativi"

Lorenzo Fusi, curatore del Currier Museum negli Usa: "Si voleva salvare il Santa Maria, Siena ha distrutto un progetto per un’operazione commerciale".

"Chiudere le Papesse  è stato un errore senza  avere piani alternativi"
"Chiudere le Papesse è stato un errore senza avere piani alternativi"

di Orlando Pacchiani

Qual è il linguaggio universale dell’arte contemporanea?

"La forza dell’arte sta nel superare barriere linguistiche e culturali - risponde Lorenzo Fusi, curatore del Currier Museum -, parlando un linguaggio universale che non ha bisogno di parole. In questo senso, l’arte è sempre transnazionale e in un certo senso eversiva. Fu Alfredo Jaar, artista cileno, a farmelo notare mentre mi raccontava dei suoi esordi ai tempi della dittatura militare di Pinochet, ricordando di essere diventato un artista proprio per dire quello che non poteva dire a parole".

Siena ha perso un’occasione? Le Papesse potevano proseguire e svilupparsi?

"È difficile parlare con imparzialità di un progetto in cui si è investito quasi un decennio della propria vita. Chiudere le Papesse avrebbe dovuto ridurre la spesa pubblica e rialzare le sorti del moribondo Santa Maria della Scala, incapace di esprimere un chiaro progetto culturale ed espositivo".

E invece?

"Di fatto si è semplicemente distrutta un’istituzione dalla solida reputazione internazionale, la cui identità era intimamente legata al palazzo, senza avere un valido piano alternativo. Oggi il Palazzo delle Papesse fa solo da sfondo a un’operazione commerciale creata sulle spalle dell’eredità artistica di Dalì, che con Siena non ha avuto alcun legame. Il progetto non offre nulla alla comunità locale e dice poco ai visitatori. Sul Santa Maria, credo che la sua storia tumultuosa e le contraddittorie vicende recenti parlino da sole. Ho provato a offrire il mio aiuto in alcune occasioni, ma le varie amministrazioni hanno ritenuto opportuno cercarlo altrove".

Quanto è rimasto legato alla sua città?

"Il mio mestiere mi ha insegnato a non guardare in maniera nostalgica alla storia, incluso quella personale, ma in modo analitico e critico. La Siena di oggi mi fa tristezza, ma al contrario di molti non rimpiango il sistema intimamente legato a poteri forti e occulti che ne ha causato la rovina, quel ’groviglio amoroso’ che faceva l’amore solo con sé stesso. Guardo a Siena con disincanto e distacco, ma ho il cuore pieno di amore, quello vero, per i miei affetti, per le mie persone".

Le piacerebbe lavorare ancora in Italia?

"Adesso sono molto felice di questa mia nuova esperienza americana. Se qualcuno si farà avanti con un progetto solido e stimolante, lo prenderò in considerazione. Nel frattempo sono altrove, impegnato a guardare e cercare di capire questo nostro strano mondo attraverso lo sguardo e la sensibilità visionaria degli artisti".