
"Un gigante in mezzo ai nani": rovesciando l’immagine stereotipata del basket, ecco quello che appare veramente di Ezio Cardaioli, qui ritratto con rara efficacia da Augusto Mattioli, proprio in un momento di gioia per la promozione del 1973. Chi scrive è completamente a digiuno delle dinamiche agonistiche, tecniche di uno sport che ha tutto un suo linguaggio, un codice da decifrare. Eppure traspare forte il valore dell’uomo, del suo affezionato percorso alla città, come un amore che ogni tanto si lascia (Forlì, Livorno, Rimini, Rieti…) ma poi si riprende perché è proprio in quelle strade che ci porta il cuore. Sempre.
Quando Cardaioli viaggiava per l’Italia portando il suo verbo di appassionato allenatore, si premuniva ogni volta di un rassicurante biglietto di ritorno. E così è stato in una felice e proficua alternanza, fatta di successi e sconfitte, come succede a tutti gli uomini che in ogni campo della vita preferiscono mettersi in gioco. Nel 1975 la città gli offre un Mangia d’argento che è poi il segno di un connubio che coinvolge un po’ tutti, che ha visto dapprima la promozione della Mens Sana in serie A, di cui è uno degli artefici, ma soprattutto dello spazio che occupa il basket nel contesto cittadino, con l’abbandono del romantico ma ristretto spazio in Sant’Agata fino ai due palazzetti di viale Sclavo. Una crescita ordinata e vera, perché uomini come Cardaioli non hanno mai perso l’equilibrio fra ambizioni agonistiche e la sana etica dello sportivo. "Quando sogna, l’uomo è un gigante che divora le stelle", scriveva Carlos Saavedra Weise: e un po’ così è stata la vita sportiva di Cardaioli, fatta di sane ambizioni, sempre con toni volutamente bassi, pensando più alla sostanza che all’apparenza, in una città dove talvolta ha disgraziatamente imperato l’immagine, con risultati catastrofici.
Una vicenda umana fatta dunque di coerenza, di passione e di indubbia tecnica, per risollevare, di tanto in tanto, le sorti di squadre logorate, fuori condizione, creando quello che si chiama semplicemente amalgama. Insomma, un po’ allenatore e un po’ (tanto) psicologo, come si deve essere quando si dirige un gruppo. E allora una bella fotografia serve anche a questo, è la memoria nel tempo, magari quando, come per il basket, si mette insieme ricordi contrastanti: ecco che questa immagine ci riconcilia con il cuore oltre che con la storia. Massimo Biliorsi