
E prova a spiegare ai giovani o a chi non l’ha conosciuto chi era Marco Bacchini. Non è certo facile raccontare di lui, perché il suo percorso umano e professionale non è certo descrivibile nel giro stretto di un articolo. Giornalista, sportivo, senese e contradaiolo: se con lui riuscivi ad andare oltre il muro di un solo apparente modo burbero, ti conquistava con la sua ironia, il suo modo di fare a dire poco originale.
Marco Bacchini è stato un collega per questo quotidiano, uno sempre sul pezzo, che non si dimenticava mai il suo ruolo. E conosceva la città, i senesi, come pochi. Qui è ritratto da Augusto Mattioli all’inaugurazione dell’Anno Accademico 1987: lui, dipendente dell’Università, conosceva vita, morte e miracoli attraverso le tante esperienze che sempre si incrociavano nel suo ironico sorriso: un ragazzo del 1942 che se ne andato troppo presto per colpa di un cuore un po’ matto, in sintonia con le passioni accese che lo portavano ad essere fra i protagonisti della sua Circoscrizione, oppure allo stadio a maledire per una sconfitta del Siena.
E poi il grande amore, assieme alla famiglia, per il suo Bruco. Quando, vittorioso dopo tanto tempo nel 1996, si fece trasportare da un amico per tutta la città a cavallo di una vespa, tanto era forte l’affanno per quella tanto sospirata vittoria. Ma sempre con garbo e moderazione, al massimo qualche battuta al vetriolo verso qualche detrattore dei suoi colori.
L’impegno innanzitutto: nel tempo che gli poteva avanzare c’era posto per essere consigliere del Gruppo Stampa, perché la voglia di raccontare sempre avesse anche un legame istituzionale. Il calcio lo amava a 360 gradi.
Ma tutto lo sport a cominciare dal basket. Non solo le squadre da prima pagina ma tutto quel calcio minore che conosceva a memoria, dai giocatori agli addetti ai lavori. Sempre con una sfumatura di felice sarcasmo. Questo era Marco Bacchini. L’ironia è proprio il mezzo migliore per trasportare carichi troppo pesanti: e lui la buttava lì sapendo di non poter reggere più di tanto a certe emozioni. Ci ha del resto insegnato che prendersi troppo sul serio fa male e ci rende infelici.
Gli ultimi tempi prendeva l’ascensore per salire in redazione, segno di una debolezza che lo stava vincendo. Così nell’aprile del 2009, il suo cuore decise di abbandonarlo per sempre: ci direbbe che anche il più nero pessimismo va servito con due gocce di sarcasmo e quel filo di autoironia che non ce lo farà mai dimenticare.
Massimo Biliorsi