
Maria e Amedeo Belloni
Siena, 7 aprile 2015 - UN GIORNO la Storia entrò nella vita di un uomo normale e lui ebbe il coraggio di ubbidire solo alla propria coscienza. Amedeo Belloni è un eroe silenzioso della Seconda guerra mondiale. Padre di famiglia, inserito nella serena quotidianità del suo lavoro di ferroviere a Chiusi, Amedeo si trovò improvvisamente catapultato nell’orrore dei treni della morte, che portavano gli ebrei dall’Italia al campo di concentramento di Auschwitz. Invece di eseguire gli ordini dall’alto, quest’uomo scelse la strada più difficile, e decise di salvare vite umane a costo di rischiare la sua. Amedeo Belloni oggi non c’è più, ma la sua storia rimane nella memoria della famiglia, in particolare della figlia Maria. «Per me il babbo è sempre stato un mito – racconta Maria – ma non solo per quello che ha fatto per i deportati nei campi di concentramento. Era speciale con tutti, anche nelle occasioni più comuni. Il destino, però, non gli ha riservato una vita facile». Come spiega la figlia, negli anni ’40 il padre è assunto dalle ferrovie dello Stato come frenatore di coda. E’ il periodo delle leggi marziali contro gli ebrei. Ancora giovanissimo, Amedeo si ritrova per caso con un suo collega capotreno a dover prendere in consegna a Chiusi un treno partito da Roma e diretto ad Auschwitz.
«Il babbo mi raccontava - continua Maria – che nella stazione sentiva urla e pianti che provenivano dai vagoni chiusi. Qualcuno chiese da bere e mio padre prese una bottiglia d’acqua. Ma appena attraversò i binari verso il treno, un soldato nazista gli sparò vicino ai piedi per bloccarlo». La fine che avrebbero fatto tutte quelle persone stipate come bestiame nei vagoni era chiara. Così Amedeo decise con il capotreno di aggiungere un vagone e prendere una lunga spranga di ferro che al momento giusto avrebbe aperto i vagoni. «A quei tempi- continua Maria – i treni dovevano fare molte manovre, così il babbo e il suo collega si misero d’accordo per rallentare nella lunga curva dopo la galleria di Bucine. Riuscirono ad aprire solo tre vagoni, ma almeno tutti coloro che stavano dentro riuscirono a fuggire». Ma questo gesto eroico non rimase senza conseguenze. «Il babbo dovette fuggire dai soldati– continua – e così si nascose sopra il treno con un sacco a pelo fino a che non riuscì a saltare su un altro nella direzione opposta. Per fortuna mio padre riuscì a tornare a casa e per sei mesi ci nascondemmo tutti sotto la strada, nel tombino davanti alla nostra casa in campagna». Scampato il pericolo, però, Amedeo trovò un triste destino ad aspettarlo sui binari. «Il 13 dicembre del ‘48 – conclude commossa Maria - scese nel pedalino del treno per fare manovra, scivolò e fu travolto. Perse gamba e braccio destri, ma non sensibilità e altruismo. Ogni volta ricordava la storia del treno diretto ad Auschwitz, mi guardava e diceva sempre: ‘Tutto questo non deve accadere mai più’.»