I barbereschi sono un mondo a parte che da sempre ci conquista: come non rappresentarlo con tutta la storicità di Ameraldo Bianciardi, qui in questa foto che ferma nel tempo quasi il suo epilogo di una lunga carriera. Augusto Mattioli lo cattura infatti con la sua reflex nel 1994 e l’Aquila l’anno dopo lo vedrà per l’ultima volta in questo delicato ruolo. Bianciardi aveva iniziato ufficialmente il 2 luglio 1969 con il difficile Ercole, prendendo il posto, a parte la breve parentesi di Lorenzo Lorenzini, del mitico Remo Merlotti.
Tanti anni che rappresentano gioie e dolori, ma le quattro vittorie restano indelebili e così i nomi dei cavalli portati nella stalla di Contrada: Panezio, Urbino, Figaro e Galleggiante, un palmares da paura. Con il buon Ameraldo, e tutti i suoi colleghi dal dopoguerra in poi, c’è quasi un vangelo non scritto che questi mitici personaggi amano seguire, certo più ieri che oggi, e dimostrano sempre che obbediscono al loro Capitano ma rimangono laici nella missione: prima viene sempre il cavallo. Ci rammentano nello sguardo antichi eroi, hanno gli occhi al cielo azzurro liscio dell’estate, un cielo che quando si rannuvola riflette la terra. Nelle foto, anche quelle non ufficiali, sembrano sempre sbalzati fuori non tanto dalla Passeggiata Storica, di cui sono ospiti graditi, quanto da un dipinto di Filippo Lippi oppure del Bronzino o del Botticelli. Senesi di popolo che hanno sempre pronto un gesto ieratico e preciso nel portare il cavallo, un gesto sicuro che fa trasalire, come un solletico alla canna della gola. E sappiamo benissimo che non c’è di meglio per toccare le corde del cuore dei contradaioli.
Hanno sempre un mezzo sorriso da mostrarci, o almeno così a noi appare: ironico come chi conosce i segreti del Palio ma non ha certo voglia di raccontarcele. Probabilmente dietro quell’apparente sorriso c’è davvero una lingua biforcuta. Ho sempre sostenuto, e adesso per Ameraldo lo ribadisco, che dietro di loro non ci siano i nostri avi più prossimi, ma gli antichi di Tarquinia e di Tuscania, né gente latina e forse nemmeno etrusca, meglio romanica. E anche in questa foto, apparentemente serena e pacifica, il nostro protagonista nasconde mica tanto bene un ghigno crudele e sornione, che riporta alla mente l’Apollo di Veio, l’antico Apollo che ha sostituito la terribile arma dell’arco con la forza del proprio cavallo.