REDAZIONE PRATO

Volevano incassare 45 milioni in cinque mesi

Guadagni super grazie allo sfruttamento della manodopera clandestina. Ogni dispositivo costava 0,22 centesimi ed era rivenduto al doppio

Cento milioni di mascherine, che avrebbero portato a un incasso di 45 milioni di euro in cinque mesi. Numeri da capogiro ruotano intorno ai contratti milionari che il Gruppo YL, con sede operativa in via San Leonardo da porto Maurizio, era riuscito a stipulare con la protezione civile nazionale e con Estar, l’ente che acquista i presidi medici per conto della Regione. E alla fine le mascherine farlocche sono arrivate non solo ai cittadini ma anche ai medici nelle sale operatorie, agli infermieri negli ospedali e al personale delle strutture sanitarie. I guadagni sarebbero stati davvero ingenti se la guardia di finanza non fosse stata alle costole di un imprenditore cinese, Huang Genguo, da ben due anni sospettato di sfruttamento di clandestini e lavoro a nero.

Le indagini delle Fiamme gialle hanno così portato a scoperchiare un sistema illegale che gli amministratori di fatto della YL - ma anche della Vignoplast di Lastra a Signa e della Paimex di Cerreto Guidi - avevano messo in piedi per abbattere i costi e massimizzare i profitti. Il guadagno sarebbe stato non indifferente: circa venti milioni in appena cinque mesi. Ogni mascherina – fanno sapere gli investigatori – costava 0.08 centesimi di costi di manodopera in quanto la YL si avvaleva di una serie di ditte che lavoravano in maniera illegale sfruttando e schiavizzando i propri operai. A quegli otto centesimi si devono aggiungere i costi del materiale (scadente) che portavano il prezzo di ogni singolo pezzo a circa 22 centesimi. Mascherine che venivano rivendute prima a 45, poi a 55 centesimi l’una con un guadagno superiore al 50%. Il Gruppo YL era riuscito a stipulare un contratto con Estar e protezione civile nazionale dal 22 maggio al 30 ottobre con consegne scaglionate di mascherine chirurgiche per un valore di circa 45 milioni di euro, 41,8 da protezione civile e 3,5 da Estar.

Le consegne erano appena cominciate quando le Fiamme gialle sono entrate in azione con le perquisizioni giovedì mattina. Il blitz ha portato all’arresto di 13 imprenditori cinesi che davano lavoro a 90 clandestini. L’arresto, in questi casi, scatta quando i lavoratori clandestini sfruttati sono superiori a tre. L’inchiesta dei pubblici ministeri Lorenzo Gestri e Lorenzo Boscagli era partita due anni fa e riguardava lo sfruttamento lavorativo da parte di Huang Genguo, titolare di una delle ditte che si era riconvertita nella produzione di mascherine per conto della YL. Dalle indagini è emerso il sistema di ditte satelliti che lavoravano per quest’ultima: confezioni che non avevano mai smesso di lavorare anche durante il lockdown pur non avendo l’autorizzazione a restare aperte. Le condizioni igienico-sanitarie in cui venivano prodotti i presidi medici erano precarie, al limite della decenza, con sporcizia ovunque, commistione di ambienti lavoratori e abitativi, e scarse misure di sicurezza. La YL aveva addirittura fatto arrivare dalla Cina alcuni macchinari, senza certificazione CE, per velocizzare le procedure di produzione. Macchinari che non garantivano la sicurezza dei lavoratori. In un caso è stato trovato un dormitorio in un bagno.

La YL era riuscita a ottenere le commesse dagli enti pubblici omettendo di dichiarare l’articolata rete di subappalti che coinvolgeva 26 ditte, tutte a gestione orientale, che non avevano i requisiti per partecipare a bandi pubblici perché gravate da debiti previdenziali e tributari. Per fare questo era stato usato il supporto di un commercialista pratese, Angelo Rossi, indagato, che aveva aiutato gli amministratori del Gruppo YL a compilare il documento di gara unico europeo non dichiarando che l’istituto superiore di Sanità aveva bocciato le mascherine per uso medico.

Laura Natoli