REDAZIONE PRATO

Stupefacente alla Dogaia in scarpe e cioccolatini

I sequestri in carcere sono stati 14 in 11 mesi. Ecco i modi in cui entrava

Il blitz a fine giugno dentro alla Dogaia

Il blitz a fine giugno dentro alla Dogaia

Un’indagine molto importante e complessa che è stata svolta in questo anno, da quando Tescaroli si è insediato in procura, è stata quella sull’ingresso degli stupefacenti in carcere. Inchiesta che ha portato a una maxi perquisizione a fine giugno all’interno della Dogaia. "Durante le indagini, dal settembre 2024 sono iniziati recuperi, a più riprese, di quantitativi di cocaina e hashish, suddivisi in più involucri, in ovuli, in frammenti, per pesi complessivi variabili dai 4,4 grammi ai 40 grammi, introdotti o in fase di introduzione in carcere, occultati nelle parti intime dei familiari che si sono recati a colloquio, nei plichi destinati ai detenuti, all’interno di indumenti e, in particolare, nella cintura dell’accappatoio, all’interno di dolci sigillati, nell’incavo della suola di una scarpa, all’interno di cioccolatini, di un pezzo di formaggio, di un alimento cotto, nell’addome di un detenuto al rientro dal permesso, in un bicchiere, nella camera, nell’ascensore del reparto alta sicurezza, all’interno della sala di socialità in una confezione di patatine sigillate", ha spiegato il procuratore. Un detenuto aveva nelle sue disponibilità scarpe con doppiofondo funzionali a occultare la droga. Ci sono stati 14 sequestri, fino al 18 luglio scorso, nell’arco di undici: il 7 settembre 2024, 2 novembre 2024, il 9 gennaio 2025, 14 gennaio; 18 gennaio, il 23 gennaio, 23 febbraio, 13 marzo, 3 aprile, 16 maggio, 20 maggio, 16 giugno, 17 e 18 luglio. È stata inoltre individuata una centrale di rifornimento, in una struttura gestita dalla Caritas, "Casa Jacques Fesch" in via Pistoiese 515, dove è stato rinvenuto stupefacente (22 grammi di hashish e 23 di cocaina suddivisi in dosi), nascosti dietro lo specchio di un bagno e all’interno del forno in cucina, unitamente a un bilancino. Una struttura alla quale sono risultati avere accesso incontrollato detenuti in permesso autorizzati a uscire dal carcere. La gestione dell’attività di approvvigionamento è risultata far capo a detenuti di nazionalità marocchina, tunisina e di Santo Domingo, i quali mantengono contatti con l’esterno e sono risultati sfruttare anche la libertà di movimento e le agevolazioni di cui beneficiano i detenuti con il permesso, che hanno costretto a collaborare anche con la violenza e le minacce.