
Dunque si tirerà dritto, ma non vorremmo che questa fretta ci faccia perdere il senso di quel che siamo, di quello che eravamo. Piuttosto che intavolare ipotesi fantasiose e costose come il famoso hub sarebbe stato più utile indirizzare tutti gli sforzi verso il confronto su come salvare il distretto e il lavoro. Il tema è stato bypassato come se il distretto storico dei tessuti vivesse solo di immagine. La fretta, l’impegno, le attenzioni della politica, di certe associazioni, hanno fatto sì che ben poco si sia fatto per alleviare, in questi mesi, il sistema già abbastanza fragile delle nostre aziende.
Non è stato certo niente, sarebbe ingeneroso, ma così talmente poco da sembrarlo, mentre tanto è stato "venduto" di immagini suggestive, ma poco concrete. Leggiamo che si andranno teoricamente a spendere ben 18 milioni di euro di cui solo poco più di 2 arriverebbero dal Pnrr: significa che ci sono 16 milioni in una disponibilità che potrebbe davvero dare un sollievo ad un distretto che altrimenti rischia di non arrivare al taglio del nastro per l’inizio di "produzione" della fantascientifica infrastruttura. Abbiamo letto dei sostegni ricevuti dalle nostre imprese lo scorso anno ma sappiamo pure cosa è accaduto da 56 mesi a questa parte e sappiamo quanto difficoltosa potrebbe esser la restituzione dei "prestiti". Sul fronte dell’occupazione, malgrado timidi segnali dal fronte del comparto filati, alla scadenza del 31 marzo, si teme il peggio: perdere posti di lavoro, professionalità, mestieri. Poco si è parlato della somma delle difficoltà degli ultimi due anni, della crescita dei costi delle materie prime, dell’esplosione dei costi energetici, di questa guerra che mette tutti di fronte a scelte drammatiche, che fiacca la volontà anche di combattere in un settore dove la passione per il proprio lavoro, per la "ditta" è fondamentale. Ecco perché alle legittime obiezioni come abitante di Prato Sud occorre aggiungere le forti preoccupazioni per quel proseguire verso un inappropriato marketing del green che ha devastato di spese le aziende del distretto. Si è trattato, da parte delle istituzioni e delle associazioni, di aver dato il via a veri e propri fuochi fatui che hanno avvelenato il clima convincendo, chi aveva le redini degli indirizzi, a far incamminare il distretto verso una burocratizzazione mascherata sulle tanto acclamate certificazioni, utilizzate fra l’altro dai grandi nomi del fast fahion per fare vetrina o poco più, usando il Made in Prato mentre gli affari, i numeri veri, venivano conclusi in altri mercati. La tradizionale abitudine pratese a lottare sui centesimi ha fatto il resto.
Costi che sommati a tutti gli altri subiti dalle aziende hanno solo dimostrato quanto gli antichi vizi pratesi, una certa guasconeria, non hanno retto di fronte ai giganti della moda che hanno giocato con il distretto tessile storico come vasi di ferro fra i vasi di terracotta. Anche a Prato ci siamo fatti abbagliare dalla transizione piuttosto da una più consapevole conversione. Il tessile rischia di morire mentre ci si accanisce con le teorie sul marketing del green, tema che ha visto tutti i vertici della città uniti appassionatamente, proprio com’era accaduto al tempo dell’infatuazione per il mitico Creaf. Sperando di esser smentiti viene solo da dire: peccato, c’era ben altro su cui accanirsi per sopravvivere.
Luca Soldi
Perito tessile