LAURA NATOLI
Cronaca

Figlio dall'allievo, i perché della condanna: "Incapace di frenare gli appetiti sessuali"

Scrive la giudice: il bambino nato dalla relazione con il ragazzino "esposto come un trofeo", "mai una parola sul male arrecato"

Gli avvocati Mattia Alfano e Massimo Nistri

Prato, 22 giugno 2021 - "Indotto a compiere atti sessuali" in un più ampio disegno criminoso ordito da una donna "incapace di tenere a freno i suoi appetiti sessuali", "talmente incentrata sul suo ego" che è andata avanti per la sua strada pur di  mantenere in piedi la relazione "con l’oggetto del suoi desideri", quel "bel giovinetto" che per lei era diventato "un’ossessione". E poco importa se la vittima ha agito in maniera consapevole. La violenza non è solo quella fisica,  è quella psicologica e morale che "induce" a compiere determinati atti  anche in maniera volontaria.  Il rapporto fra i due non era paritario: uno era un ragazzino, l’altra una donna adulta. Il ragazzino non si è avvicinato alla vita sessuale  facendo esperienze insieme a una coetanea, come è giusto che sia, con tutte le incertezze e i timori del caso. La vittima è stata catapultata improvvisamente in qualcosa  più grande  compromettendone la normale e serena crescita da ragazzino a uomo adulto.

Non c’è nessun dubbio per il giudice Daniela Migliorati della colpevolezza della operatrice sanitaria di 33 anni che ha intrattenuto una relazione con un ragazzino a cui dava ripetizioni di inglese e da cui ha avuto un figlio nell’agosto del 2018 come ha dimostrato l’esame del dna. Il giudice ha depositato nei giorni scorsi le motivazioni della sentenza che ha condannato la donna, assistita dagli avvocati Mattia Alfano e Massimo Nistri,  a sei anni e sei mesi per violenza sessuale su minore, violenza sessuale per induzione e atti sessuali con minore.

A processo insieme a lei è finito pure il marito condannato a un anno e otto mesi per aver riconosciuto il figlio della moglie  pur sapendo che non era suo, come  dimostrato dalle indagini della procura. Nelle 77 pagine di motivazioni, il giudice ripercorre  la dolorosa vicenda cominciata "senza ombra di dubbio" nel giugno del 2017 quando il ragazzino aveva 13 anni. Circostanza  smentita dall’imputata che ha sempre sostenuto come la relazione fosse iniziata quando il giovane aveva già compiuto 14 anni, ossia  nel novembre successivo. Tesi a cui  lo stesso giudice non ha creduto ritenendo la testimonianza della vittima  credibile, ben ricostruita nel minimi dettagli e come dimostrano alcuni messaggi che i due si sono scambiati su Whatsapp. A mettere in moto l’inchiesta fu la madre del ragazzo insospettita dai turbamenti del figlio. La donna presentò denuncia tramite il suo legale, Roberta Roviello.

"Non c’è differenza fra violenza su una femmina o un maschio", chiarisce il giudice sgombrando la mente da ogni dubbio, "nella coppia ci deve essere una sorta di par condicio, una libertà reciproca di intrattenersi sessualmente e non di sottoporsi  all’altrui volontà". E’ qual è la più potente arma di convincimento per la vittima, si chiede il giudice. Semplice: il bimbo nato dalla relazione segreta ed esposto come se fosse "un trofeo"  nella palestra che entrambi frequentavano. Il «"atto" fra i due di non rivelare che il figlio fosse del ragazzino, induce la vittima a proseguire nella relazione anche  quando avrebbe voluto interromperla a fine 2018. Patto che "lo costringe a mandare messaggi  in orario scolastico pur di tenere nascosto il suo segreto", "ad avere rapporti sessuali con cadenza fissa" per tenere a bada la donna, annota il giudice. "Una donna che non ha speso una parola per riconoscere il male arrecato", si legge ancora.

Non c’è ombra dubbio della sua colpevolezza tanto da rifiutare la richiesta della difesa che, durante il processo, ha sollevato  un’eccezione di tipo costituzionale insinuando che il reato di violenza sessuale su minore non fosse più al passo con i tempi rispetto ai ragazzini di oggi esposti a mille sollecitazioni. "Un minore non si tocca – scrive il giudice rigettando la richiesta  – e qualsiasi sua disponibilità non produce effetti giuridici a favore del soggetto attivo".

"Indifferente – si legge ancora – per il legislatore che costui sia un bimbo o una bimba, che abbia l’aspetto esteriore  più maturo, o che abbia acquisito una maturità intellettuale. I minori vanno rispettati: è uno dei capisaldi della comunità sociale. Il discrimen  anagrafico non può subire riserva di prova contraria. Il giovinetto fino alla soglia dei 14 anni è un bambino".