
Elena Amato, sorella di Elisa uccisa dall’ex Federico, contro l’associazione voluta dal padre del ragazzo. Oggi discussione in consiglio comunale.
"Ho chiesto alle istituzioni di intervenire perché non voglio che passi il messaggio che la famiglia di Elisa Amato ’fa la guerra’ all’altra famiglia. Non voglio però che passi un messaggio errato: si può fare del bene in tanti altri modi". Elena Amato è la sorella combattiva di Elisa, ammazzata a 29 anni nel maggio del 2018 dall’ex fidanzato Federico Zini, 25 anni, che poi si è ucciso con la stessa arma con cui ha stroncato la vita della ragazza di cui era ossessionato. Un femminicidio brutale che si è consumato sotto casa della giovane e dal quale la sorella della vittima è ripartita per riorganizzare la sua vita, concentrando tante energie per combattere la violenza di genere. A riportare l’attenzione sul caso è stata una sentenza del Tar che ha dato il via libera al padre, Maurizio Zini, dell’assassino di creare una fondazione a sostegno di ragazzi in difficoltà purché non contenga nessun riferimento esplicito a Federico. Oggi la questione sarà dibattuta in consiglio comunale a Prato su proposta dei gruppi di maggioranza e di Forza Italia in modo da chiedere alla Regione di non iscrivere nel registro unico del terzo settore enti riconducibili a soggetti che si sono macchiati di femminicidio.
Elena, è sempre convinta che la fondazione, anche senza riferimenti al nome ’Federico Zini’, sia inopportuna? "Sì, ma non perché siamo arrabbiati con l’altra famiglia. Siamo due famiglie che soffrono allo stesso modo, anche se noi questo dramma lo abbiamo solo subito. Ho chiesto l’appoggio delle istituzioni perché non sembri una nostra ’vendetta’. Se questa fondazione ha indignato tutti, istituzioni, opinione pubblica, centri antiviolenza, un motivo c’è".
Che cosa non le convince della fondazione il cui nuovo nome è ’Un abbraccio per un sorriso’? "Non metto in dubbio la buona fede dell’altra famiglia o la volontà di fare del bene, anche in nome di un femminicidio, ma non ci si improvvisa. Sono temi delicati per i quali bisogna essere preparati".
Cosa intende con ’improvvisazione’? "Faccio volontariato in associazioni contro le violenze da anni. Vedo come lavorano. Spendiamo tempo e fondi nella formazione per riuscire a parlare nel modo corretto con i giovani, soprattutto con i ragazzi nelle scuole a cui spieghiamo quali sono i segnali di allarme, come funzionano le relazioni, quali sono quelle tossiche. Un una associazione sostenuta dalla famiglia di un femminicida fa passare un messaggio sbagliato".
Zini cerca protagonismo? "Ripeto, non dubito delle buone intenzioni, ma bisogna fermarsi a riflettere su quello che le proprie decisioni possono provocare. Vuole aiutare i giovani? Può farlo con altri metodi, può farlo con realtà già esistenti, gestite da professionisti. Fare una associazione ex novo non ha senso. Non conosco l’altra famiglia, non ci siamo mai parlati. Lo dico per quello che è stata la mia esperienza, purtroppo siamo tutti vittime in questa storia".
Qual è stata la sua esperienza nelle associazioni antiviolenza? "Dopo aver lavorato su me stessa per cercare di metabolizzare la tragedia, mi sono avvicinata con i piedi di piombo a questo mondo, sono entrata in diverse organizzazioni, ho fatto formazione. E’ un processo che è durato sette anni. Non voglio andare da un ragazzo di 16 o 17 anni e dire cose che non vanno bene".
Le scuse sono arrivate? "No".
Laura Natoli