
L’amarcord su come eravamo
fa tappa questa volta nella redazione pratese de La Nazione, la nostra casa, dagli inizi ai giorni nostri, dopo avere raccontato, nelle precedenti puntate, il mondo del tessile visto da Edoardo Nesi, il Lungobisenzio, l’incanto di Filettole,
la goliardia, le botteghe, Baghino, Silvio Pugi,
l’ex sindaco Giovannini. Sempre con il fantastico caleidoscopio fotografico
dello studio Ranfagni.
di Roberto Baldi
Vidi il cuore di una bambina di Carmignano che tornava a pulsare nelle mani del celebre cardiochirurgo Achille Dogliotti all’ospedale Molinette di Torino, dopo una sottoscrizione della nostra redazione che aveva sovvenzionato uno dei primi interventi chirurgici in extracorporea degli anni Sessanta. Partecipavamo la città nel bisogno e vivevamo tutti gli aspetti di una comunità che sapeva anche divertirsi nelle feste in casa, nel veglione della stampa, dove le mamme portavano le ragazze da marito e ci si innamorava facile, arrendendosi al matrimonio, una relazione in cui il cronista imperioso deponeva le armi. La nostra redazione era all’inizio in via Garibaldi, sopra il negozio del Panci che serbava i bottoni non più di moda e li rivendeva il doppio quando tornavano in auge, culo e camicia con la città, un viavai che ci parea l’esercito come si dice a Prato.
Articoli brevi come le gonne (cominciava la minigonna degli incantesimi), senza mettere mutande alle parole e rispettando il chi-dove-come-quando perché "i pratesi sempre di corsa leggono il giornale sul water o in treno" come ci diceva il capocronaca Mauro Mancini, lui che aveva un amorissimo per l’aereo e la barca da dove spiccò con l’amico Ambrogio Fogar il folle volo verso l’ignoto. Facevamo il ’giro’ alla sera, pronti a rialzarsi la notte per raccontare l’incendio di rito, che spiegavamo con l’autocombustione, ma che era salvacondotto talvolta della fabbrica in crisi. Al mattino cerchiate in rosso le cosiddette ’bucature’ dei giornali concorrenti. Al pomeriggio il quarto d‘ora delle ciance e poi si ricominciava a frullare. Portavamo il fuorisacco alla Cap, poi scendevamo al negozio del nostro fotografo Ranfagni a raccattare le news in tempo reale. La redazione di Prato era e resta scuola di giornalismo e palestra di vita nel frenetico divenire della città. A Prato si operava, a Firenze si sublimava: prima Riccardo Berti e poi Umberto Cecchi a dirigere la testata, Riccardo Mazzoni vicedirettore del Qn con Cecchi e Mazzoni anche parlamentari; Piero Paoli inviato, Piero Gherardeschi vicedirettore, Luigi Caroppo capocronaca prima a Prato, poi a Firenze e oggi caporedattore centrale, Piero Ceccatelli caporedattore, Alessandro Farruggia poi diventato inviato, Alessandro Antico caporedattore province dove i rumori dell’attualità diventano cronaca, sciacquando i panni tutti nel Bisenzio, rispettandone le tradizioni onde evitare il brusco richiamo toccato a Mancini, che aprì la pagina dell’8 settembre, giorno della Madonna, con la foto di una bellezza al bagno anziché l’editoriale rituale del vescovo. Il sabato sera a cena insieme, dopo mezzanotte a Firenze a ritirare le copie odoranti di stampa. Ci volevamo bene, ci voleva bene la città, eravamo la Treccani dell’affezionato lettore come si dichiarava nelle missive. All’edicola chiedevi il giornale e ti davano La Nazione. Uno scrigno di storia cittadina, che trasportammo nella redazione di via San Giorgio, coinquilina la Spe, la società pubblicitaria del nostro gruppo editoriale, diretta da Riccardo Bini e oggi da Margherita Corti, il sorriso che non conosce confini. Partecipammo le piste ciclabili, la provincia osteggiata dai fiorentini con le contraddizioni di chi disfa la ferrotranvia e la rifa; l’alluvione di Firenze, Prato in soccorso; Papa Wojtyla e il presidente Ciampi a omaggiare la repubblica pratese del lavoro; l’immigrazione dal sud che imitava la nostra ’c’ aspirata finché arrivarono i cinesi e Prato si pronunciò Plato; le trasferte del calcio, i resoconti a braccio, i rimborsi 100 lire in più perché "l’uomo non è di legno" e l’amministratore Formigli che ce li sottoscriveva con uno scapaccione; l’aereo a buttare volantini inneggianti Prato sulle partite dell’Arezzo e l’incontro pacificatore a Firenze sud tramite la nostra iniziativa. Poi l’approdo della redazione in via Mazzoni, a lato piazza Ciardi rimessa a nuovo: al posto della vecchia fontana, archi convergenti su un cono rosso fluente; il nuovo look del negozio sorelle Coppini; Orazio e Urbano, che ti fanno un capello uso Dynasty. Al primo piano di via Mazzoni, la redazione ancora oggi sentinella sul divenire di Prato. In soffitta l’Olivetti 22, arrivarono i computer a spiegarti di connetterti a internet per risolvere un problema di connessione a internet (sic!), insieme ai social dello sfogatoio. In tempi di Covid una scritta all’ingresso ti avverte di mascherina paraguai (con la mascherina forse si respira male, con il Covid si respira peggio), ma l’intento è sempre quello di fare diventare persona il giornale, calore dell’ospitalità e scrupolo di una cronaca da amare, arricchita giorno giorno da un editoriale a braccetto col lettore amico.