Prato, 5 gennaio 2020 - «La situazione non è da sottovalutare e deve essere affrontata con la necessaria durezza, in modo laico e senza timori. Ogni volta che la Fondazione Caponnetto tocca il tema della mafia o criminalità organizzata cinese si assiste a una reazione giustamente preoccupata".
La Fondazione Caponnetto di Firenze risponde al sindaco Matteo Biffoni che sabato aveva replicato al paragone - "Prato è come Corleone" - usato in un recento convegno dal presidente della stessa Fondazione. Che, parlando del radicamento della mafia cinese nei territori di Prato-Firenze-Osmannoro, aveva definito Prato "la Corleone delle triadi orientali".
La frase non è piaciuta a Biffoni che ha reagito chiedendo "rispetto per la città" e sostenendo che tutte le istituzioni sono già impegnate nella battaglia alle organizzazioni criminali, di qualunque tipo esse siano. Stessa linea tenuta dal procuratore Giuseppe Nicolosi che ha parlato della presenza in città di criminalità organizzata, molto pericolosa, ma sottolineando l’inutilità di darle "etichette". Viste le reazioni, la Fondazione si è dunque sentita in dovere di intervenire nuovamente.
"Ciò che recentemente è stato detto e scritto durante la presentazione delle nostre attività – dice il presidente Salvatore Calleri – è confermato da una serie di report in cui vengono descritte e inserite operazioni della magistratura e delle forze dell’ordine. Il primo resport ufficiale, con Pier Luigi Vigna, è del 2012, altri ne sono seguiti nel 2016 e nel 2017. Si aggiungano poi le numerose relazioni della Dia e della Dda. Il tutto preceduto e suggellato da una sentenza di Cassazione, VI Sezione Penale, del 30 maggio 2001, che confermava una condanna in appello ex art. 416 bis di un gruppo di cinesi che gestivano un traffico di clandestini verso l’Italia".
La Fondazione si riferisce alla famosa inchiesta soprannominata ’Gladioli rossi’. L’operazione della Dda fiorentina del 1999, aveva portato a scoperchiare la cupola delle Triadi cinesi in Toscana. Furono 25 gli ordini di custodia cautelare emessi. A capo della cupola c’erano tre famiglie cinesi che, dietro la copertura di ristoranti tra Prato e Firenze, gestivano il traffico di "schiavi" e immigrati clandestini che dalla Repubblica popolare cinese arrivavano nei paesi dell’Est Europa per poi essere smistati da Parigi verso altre città fra cui Prato. Questa è l’unica sentenza che sancisce l’esistenza della Piovra gialla nei nostri territori. Le inchieste successive sono, invece, naufragate. "La situazione – avverte Calleri – non è da sottovalutare. La Fondazione Caponnetto è a disposizione di tutti per approfondimenti". L.N. © RIPRODUZIONE RISERVATA