
"Voglio pensare che un seme nell’animo di Rocco Leone sia stato gettato quando era bambino. Il seme della solidarietà che lo ha fatto diventare la persona che è oggi". Piero Bugiani, professore di filologia e membro della Società internazionale per lo studio del Medioevo latino, è stato il capo scout di Leone nei Lupetti, nella sezione ‘Prato prima‘, sede nel quartiere di San Paolo. I ricordi sono lontani ma vividi: "Non mi meraviglia quello che è diventato. Rocco era un bambino solare, molto intelligente, vivace e brillante. Ricordo bene la sua famiglia, abitava nella zona dei Ciliani, il padre era un uomo severo, tutto di un pezzo".
Bugiani ricorda e sorride: "Deve essere tremendo quello che ha vissuto, sono vicino al ragazzino che ho conosciuto. Erano gli anni Settanta, a quell’epoca non era tanto comune viaggiare, ma Rocco non aveva problemi. Con lui ho fatto tre campi scout in Abruzzo, sulle Dolomiti e a Bardonecchia. Bisognava aver coraggio per lasciare la propria casa e lui ne aveva fin da piccolo. All‘epoca non c’erano cellulari né c‘era la possibilità di tornare dalla mamma per una bizza, quindi prendere la valigia e partire a 10 anni era una bella scuola di vita e lui non si è mai tirato indietro. Ha viaggiato tanto, oggi è un funzionario Onu del programma che ha l’obiettivo di mettere fine alla fame nel mondo, una parte di questa sua passione forse l‘ha ereditata anche qui, ad accendere l‘impulso a dedicarsi ai più deboli probabilmente ha contribuito anche questa esperienza – insiste Bugiani –. Quando Rocco era nei Lupetti, la sezione da 8 a 12 anni, l’assistente ecclesiastico era don Renato Chiodaroli, a lungo missionario in Africa: credo che parte della sua passione di oggi sia iniziata con l’esperienza degli scout". La notizia che Leone è l’unico sopravvissuto dell’attentato in Congo è viaggiata sulla chat degli amici pratesi fin da subito: "Sapevamo che era in Africa, quando abbiamo saputo quello che era successo siamo rimasti molto scossi. Rocco ha passato l’infanzia e la giovinezza a Prato, qui è cresciuto e si è formato come uomo. Subito dopo la laurea è partito per la sua strada che lo ha portato in giro per il mondo. È una persona eccezionale e quello che fa lo dimostra". Il ricordo lasciato in città da Rocco Leone è davvero luminoso, in primis in coloro che lo ebbero come capo nel gruppo scout Prato 1. Caterina Santi ricorda di lui e del suo gruppo l’abilità tecnica nel campo delle costruzioni e nel pionierismo "unite alla sensibilità e alla naturtalezza con cui Rocco e gli altri accolsero e integrarono un bimbo disabile". Luciana Schinco lo rammenta "bimbo minuto, un po’ più piccolo rispetto ai coetanei, ma che compensava col carattere, la determinazione, l’intraprendenza".
Interrogare Prato su Rocco Leone significa riandare agli anni Settanta. La storia familiare dei Leone è tipica della Prato del dopoguerra, città aperta a ogni immigrazione. La famiglia originaria di Lacedonia, Irpina beneventana affacciata verso la Puglia si trasferì in massa a Prato. Gerardo, il padre di Rocco, era insegnante e divenne preside alla Lippi, lo zio Giovanni fu uno dei più noti avvocati civilisti della città, impegnato nel volontariato alla Pubblica Assistenza. Assieme alla sorella Maria Grazia, Rocco si vedeva coi cugini più grandi Manuela, Enrico, Paolo figli di Giovanni, che frequentarono come lui il classico in via Baldanzi. Poi, per Rocco, gli studi di matematica a Firenze dove conobbe la moglie Paola e dove stabilì casa. E il richiamo della generosità verso il mondo e l’Africa, alla quale ha dedicato la vita.
Silvia Bini
Piero Ceccatelli