
Arnolfo Biagioli e Antonio Lucchesi sono fra i rappesentanti più autorevoli di una Prato che nobilitò il tessile. Sono loro oggi, i protagonisti della rubrica a firma del nostro Roberto Baldi, impreziosita dalle foto di Ranfagni. Un’altra puntata che si aggiunge a quel Edoardo Nesi, il Lungobisenzio, Filettole, la goliardia, le botteghe del centro, il ristorante Baghino, Silvio Pugi, Roberto Giovannini, la redazione pratese de La Nazione, Pietro Fiordelli, il tessile, Giorgio Vestri, il teatro Metastasio, Lohengrin Landini, il Politeama, il campanilismo Prato Firenze Pistoia, Misoduli, Rodolfo e Roberta Betti, il trio dei penalisti Cappelli-Guarducci-Mati, il corteggio storico, Giuliano Gori.
di Roberto Baldi
Arnolfo Biagioli e Antonio Lucchesi complementari e diversi. Due cose in comune: la testa per gestire se stessi, il cuore per gestire gli altri anche quando le circostanze erano contrarie. Come gli aerei che decollano contro il vento. La passione è stata il carburante aggiuntivo in una Prato che ti pone spesso in corsia di sorpasso per esplorare il nuovo. Arnolfo Biagioli, nato il 2 febbraio 1925, nel giorno di berlingaccio come a lui piaceva ricordare, a 20 anni era già protagonista nella ditta ereditata dal padre. Nel ‘60 vicepresidente dell’Unione industriali, negli anni ’90 personaggio di assoluta evidenza nella vita della città per quel suo modo di porsi risoluto di fronte anche alle istanze sindacali. Costituì addirittura un sindacato degli impiegati anche per gli operai tessili per opporsi agli scioperi Cgil dei lavoratori. Disse no alle lusinghe della destra, che lo riteneva un ideale affiliato, e a qualche occhieggiamento della sinistra, a cui non dispiaceva questo baffuto mascelle serrate quasi ad avviare perennemente una sfida, la stretta di mano forte senza fare sconti a nessuno. Nemmeno ai funzionari della finanza, con cui si scontrò ed ebbe anche un processo risoltosi nel 2010 con tre mesi di reclusione convertiti in pena pecuniaria di 3.420 euro, per aver detto: "Ci sono più finanzieri che industriali in galera".
Non tramontò mai l’iniziativa operativa di questo personaggio intrepido che a 86 anni, pochi mesi prima del decesso, ci dichiarava: "Sono ostaggio della fabbrica. A nove anni ho visto un operaio con le mani straziate nella carda e, nonostante il primo doloroso impatto, son restato abbarbicato a questo mondo di gioie e di tribolazioni mescolati all’odore dei frasami e al rumore delle sirene. Se finisce di battere il telaio, siamo iti". Con le sue intuizioni geniali e le sue battaglie coraggiose; con il suo senso dell’amicizia e del confronto-scontro da cui nasceva un sodalizio umano spesso più saldo, se ne andava uno dei giganti del tessile lasciando una pagina indimenticabile nel libro dell’industria con caratteristiche distintive ed eccentriche rispetto ai precetti che si insegnano nelle aule delle business school. Lui era cresciuto accanto allo sfoderatore di saie dai polsi robusti e col tunnel carpale, i colori a montagne e quel pulviscolo che danzava sotto la luce dall’alto; nell’attraversamento della strada senza prendere il babbo per mano nemmeno da piccolo; nelle locuzioni brevi e sostanziose.
Antonio Lucchesi ha raggiunto ormai l’età in cui si spende più di candeline che di torta, al compleanno: ben oltre i novanta ogni 31 gennaio, due giorni prima di Arnolfo, guarda alla fabbrica ormai come una creatura che cammina con le proprie gambe. La sua occupazione più importante fu l’Industria Italiana Filati nata nel 1987, lasciata nel 1942 dal nonno Guido. Dal 1 gennaio 1950 entrò nella ditta causa malattia del padre. A differenza di Arnolfo si è compenetrato nel tessuto delle dirigenze pubbliche: presidente dell’Unione industriali dal 1980 al 1986, nella giunta di Confindustria per 7 anni, consigliere comunale nelle liste DC con Giovannini sindaco; vicesindaco dal 1995 al 1999 con sei deleghe, sindaco Fabrizio Mattei. La lista delle benemerenze potrebbe essere allungata, nonostante i nove figli che lo hanno occupato da sempre, ma fondamentale è ora il mestiere di nonno con l’argento dei capelli bianchi e l’oro nel cuore. Amore incondizionato, gentilezza, pazienza, umorismo, comfort, lezioni di vita, religiosità sono le caratteristiche di uno dei pionieri dell’industria pratese. "Ho ritrovato angoli inesplorati del vivere – mi dice – sono tornato dal parrucchiere perché stavo per diventare un capellone; ho fatto visita ai miei nipotini. 16 in tutto, quelli che quando tutti dicono di no, chiedilo al nonno; vado in fabbrica di tanto in tanto senza ammalarmi di poltronite; ho affiancato il giardiniere nella cura del mio spazio verde, ho verniciato, sono andato a messa regolarmente contravvenendo la quarantena nel periodo Covid. Fare cose piacevoli, dopo aver lavorato per tutta una vita, è di fatto un riposo, come raccomandava padre Pio, che per me fu folgorazione. Mi ci accompagnò Giovanni Bardazzi in una vecchia Aurelia con strapuntini". Non rinnega niente del suo vissuto, ed anzi si accalora nel raccontarlo, ma in quel suo eloquio semplice, lucidissimo, sereno comprendi lo sforzo di saper invecchiare, dopo aver costruito imprese di successo. Uno dei più difficili capitoli dell’arte di vivere.