
Tribunale (foto d'archivio)
Prato, 19 maggio 2015 - Nessun colpevole colpevole per l’investimento del giovane Edoardo Mattei, figlio dell’avvocato Giandomenico Mattei, che fu travolto e abbandonato alla rotonda tra via Matteotti e via Machiavelli da un’auto pirata. Lo ha stabilito ieri il giudice Monica Jaqueline Magi assolvendo il marocchino Nabil Haba, difeso dall’avvocato Antonio Bertei, con formula dubitativa. Non c’è stata, evidentemente, durante il processo la prova schiacciante che abbia incastrato «oltre ogni ragionevole dubbio» l’imputato. Il giovane Mattei, conosciuto tra gli amici come «Giandino», fu investito nella notte del 6 luglio del 2011 da un’auto fuggita dopo l’incidente. Edoardo, all’epoca diciannovenne, era in motorino dopo una serata passata con gli amici a festeggiare la fine dell’esame di Maturità.
Il ragazzo rimase in coma per quasi quindici giorni tanto che su Facebook si mossero tutti gli amici creando un cordone di solidarietà per il ragazzo. Edoardo si svegliò il 20 luglio e adesso sta bene. Ma in tribunale è arrivato il colpo di scena. Sembrava che tutti gli elementi portassero a incastrare Nabil Haba: i tabulati del telefono che lo avevano inquadrato in zona, le immagini di una telecamera che lo riprendevano mentre rubava l’auto che ha investito il giovane e soprattutto la denuncia della sua ex compagna – che lo aveva accusato di stalking, violenza e minacce – che ha sostenuto di aver ricevuto una confidenza dall’uomo.
Elementi che, però, in aula non hanno convinto. La sua ex convivente lo aveva già denunciato e, quindi, la sua testimonianza è stata ritenuta non credibile. Diversa la posizione del romeno, proprietario dell’auto che investì il ragazzo. Gli inquirenti risalirono al romeno, che fu uno dei primi indiziati dell’investimento, grazie alla targa che durante l’incidente cadde dalla macchina. Però, l’uomo raccontò agli investigatori di aver subito il furto dell’auto il giorno prima. Il romeno ha sostenuto di aver subito il furto delle chiavi dell’auto e il giorno dopo della macchina. Ma, poi, durante la deposizione in aula, è caduto più volte in contraddizione sostenendo di non aver mai controllato se la macchina era ancora in strada dove l’aveva parcheggiato.
La testimonianza piena di lacune unita alla poca credibilità della fidanzata (l’uomo è stato condannato per violenza e stalking dopo che l’aveva rinchiusa in casa), e al tabulato che pone il telefono del marocchino non necessariamente nella zona di via Matteotti, non ha convinto il giudice che ha deciso di assolvere l’imputato accogliendo la tesi del difensore.