Magnolfi, come vede Prato?
"Montanelli diceva: non ho preoccupazioni per gli italiani, per l’Italia sì. Penso si possa dire lo stesso di Prato e dei pratesi. La città negli ultimi 20,30 anni è cambiata in modo radicale, ma non c’è una riflessione seria e approfondita su cosa è successo, né un progetto serio e approndito su cosa Prato potrebbe diventare. Vedo problemi e degrado".
Un’analisi molto dura.
"Non sto dicendo che si debba rimpiangere il passato, sia chiaro, dico che i problemi economici, di illegalità e di identità sono molto gravi e che si tende a dare una visione edulcorata delle cose, mentre sarebbe necessario smettere di raccontarsi le novelle. Aspetto di conoscere meglio il progetto di governo della sindaca Bugetti, al di là delle frasi fatte, delle parole d’ordine".
Ha vinto le elezioni con ampio margine.
"Le sue capacità politiche sono fuori discussione: il miglior campione che il Pd potesse schierare. Ma i primi segnali di legislatura non sono incoraggianti".
Sono passati solo tre mesi.
"Certo, bisogna aspettare. Ma vedo che è iniziato di nuovo il rito dell’ascolto. Ascoltare è indispensabile, ma veniamo da anni di ascolto o di cosiddetta partecipazione. A un certo punto chi governa ha il dovere di fare sintesi e assumersi la responsabilità di decidere, anche scontentando. Poi, soprattutto, la giunta non mi convince affatto".
Perché?
"E’ stata fatta con il bilancino in base agli accordi presi nel Pd durante le battaglie interne per la scelta del candidato. Accordi rispettabili, per carità, ma ci sono assessori a cui è stato garantito il posto in giunta con deleghe di poco peso, mentre la sindaca si è tenuta per sé gran parte delle deleghe che contano. Non si era mai vista una cosa del genere. Farà ricorso agli articoli 90, che dovrebbero essere eccezioni, non diventare pseudoassessori. A parte i costi, trovo inaccettabile che siano affidati compiti del genere a persone senza veste istituzionale".
E il centrodestra,?
"C’è molto da costruire e non lo si può fare qualche mese prima delle elezioni. Sarebbe importante portare all’impegno per la città la generazione dei trentenni, giovani che magari diffidano dai meccanicismi della politica. Servirebbe un pensatoio, dove persone di diversa esperienza possano confrontarsi. Un percorso da costruire, valorizzando i giovani che ci sono e quelli che potrebbero esserci, sentendosi parte di un progetto".
Ha fiducia, in generale, che qualcosa cambi?
"Spero che Prato possa ritrovare un orgoglio di comunità, riuscendo a lavorare insieme. E che si superi questo stillicidio di piccole polemiche, alla ricerca di una sterile visibilità. Cosa resta di tutto questo? Niente. Bisogna volare più alto. Costa fatica, richiede studio, applicazione, essere dentro la città e i problemi. Prato ha bisogno di un cambiamento, ma non vedo la necessaria capacità di autocritica: gli errori li abbiamo fatti tutti, non c’è niente di male a riconoscerli"
A parte la politica?
"Non vedo una città unita. L’unità c’è nei documenti delle associazioni, ma sono parole. C’è il distretto, non una cultura distrettuale, come in Emilia Romagna. Un problema antico. Oggi in più c’è il problema della rendita: quanto pesano il mercato degli affitti e lo sfruttamento dei lavoratori. A fianco dei pakistani sfruttati ho visto solo i Cobas. Chi amministra la città non può non porsi questo problema. Non dico di risolverlo, ma porselo, guardare la realtà, non nasconderla come è stato fatto, magari dietro ai soliti documenti prodotti dai soliti tavoli, che non servono a niente".
Anna Beltrame