"Il Creaf era già fallito nel 2012 Nessun nesso tra fallimento e soci"

Depositata la sentenza che ha assolto Biffoni e Gestri e condannato gli ex amministratori della società. Accolta la ricostruzione delle indagini sui finanziamenti e il progetto mai nato. Il pm ha fatto Appello.

"Il Creaf era già fallito nel 2012  Nessun nesso tra fallimento e soci"

"Il Creaf era già fallito nel 2012 Nessun nesso tra fallimento e soci"

Era chiaro dal 2012 che il progetto Creaf non poteva andare avanti. Nonostante ciò "l’ente gestorio ’ha preso tempo’ consentendo la prosecuzione della attività della società in assenza di garanzie circa la copertura finanziaria del progetto". Lo scrive il giudice Elisa Romano nelle motivazioni della sentenza che ha portato alla condanna per bancarotta semplice degli ultimi amministratori della società "ex Creaf" (8 mesi per Luca Rinfreschi e Laura Calciolari) e a due componenti del cda (7 mesi per Veronica Melani e Gianmarco Bocca) per il fallimento del centro di ricerca sul tessile che sarebbe dovuto nascere nel capannone ex Viscotex in via Galcianese 34, proprio quell’immobile usato durante la pandemia come hub vaccinale e adesso di nuovo vuoto. La stessa sentenza ha invece stabilito l’assoluzione "perché il fatto non sussiste" degli ex presidenti della Provincia (socio di maggioranza), il sindaco Matteo Biffoni, e Lamberto Gestri, oltre ai due revisori dei conti, Giovanni Picchi e Marco Bini. Il giudice ha depositato le 82 pagine di sentenza nei giorni scorsi. Sentenza su cui il pm Lorenzo Boscagli – che lunedì lascerà la Procura di Prato perché trasferito a Firenze – ha già fatto Appello anche se la prescrizione è vicina.

In sostanza, il giudice ha accolto la ricostruzione fornita dal pm, riconoscendo le gravi "mancanze" nelle scelte fatte nei primi anni di vita del centro di ricerca sul tessile mai nato e costato alle casse pubbliche 22 milioni di euro e 13 anni di lavori. La prima parte della sentenza è dedicata a tutta la ricostruzione della vicenda partendo dall’acquisto dell’immobile, avvenuto nel 2005, e costato fin dall’inizio più di quanto era stato stabilito e di quanto fossero i fondi a disposizione della società "Creaf". In maniera dettagliata vengono passati in rassegna i tre lotti di lavori eseguiti nel capannone che, nonostante i fondi ricevuti e mai restituiti, non sono mai stati portati a compimento tanto da rendere l’immobile non utilizzabile per quelle che erano le finalità a cui sarebbe dovuto essere destinato.

Rispetto all’impianto accusatorio della Procura, il giudice ha ritenuto che fosse ben chiaro fin dal 2012 che il progetto "era fallito" e che non c’era più possibilità di andare avanti a causa della mancanza di fondi e con i lavori ancora incompleti. Stessa conclusione a cui era arrivata la Procura che però aveva indicato l’anno-limite, nel quale il gesotre si sarebbe dovuto rendere conto che il progetto del centro di ricerca e formazione sul tessile non sarebbe mai decollato, nel 2011. Un anno solo di differenza. In sostanza, i rappresentanti dell’ente gestore avrebbero dovuto chiedere il fallimento nel 2012 quando era oramai palese che il Creaf non avrebbe mai aperto i battenti, che i lavori non erano finiti e che il progetto non aveva ancora portato nessun reddito. Il patrimonio consisteva solo nell’immobile.

Diversa la posizione del socio di maggioranza (i due presidenti della Provincia) e dei due revisori dei conti, secondo il giudice. Il primo non ha più fornito finanziamenti, i secondi hanno sempre sottolineato le gravi perdite che gravavano sulla società Creaf, annota il giudice. "Non c’è nesso di causalità", scrive il giudice, fra l’aggravamento del dissesto e "il fatto che gli amministratori abbiano agito (colpevolmente) in funzione dell’interesse politico all’attuazione del progetto Creaf". "Il socio non è titolare di una posizione di garanzia rispetto alla salvaguardia del patrimonio societario, attribuita esclusivamente all’organo gestorio". Non è detto, dunque, che l’amministratore avrebbe agito in modo diverso, dichiarando prima il fallimento, di fronte a un comportamento diverso del socio di maggioranza e dunque della Provincia.

Laura Natoli