Non conosci i Toccafondi se non capisci il significato di un atto fatto col cuore in mano, come quando Andrea rilevò il Prato dai fratelli Senatori portando una borsa di soldi, testimone il sindaco Landini. In un momento complesso per la nostra città la famiglia Toccafondi ha fatto un gesto concreto di amore e orgoglio – non a parole ma con i soldi – per salvare l’Ac Prato. Paolo Toccafondi, una vita in biancazzurro, è corso tre giorni fa a versare 100mila euro per evitare la fine di 117 anni di storia biancazzurra con l’aria del "chi mi vuol bene mi segua". Chi te l’ha fatto fare?
"Il pericolo che morisse una storia. Non c’è un perché razionale nelle scelte calcistiche che sono sempre in perdita. C’è l’attaccamento alla squadra dove ho fatto il raccattapalle, il giocatore e il presidente; c’è il ricordo di mio padre che non avrebbe mai digerito la capitolazione in terza categoria, anche se diceva che spendere soldi per il calcio è come mettersi un palo nel didietro; c’è l’amore per una città in cui è cresciuta tutta la mia famiglia anche se il lavoro è là nelle brume di Bergamo".
Ti immaginavamo in panciolle a fregarti le mani una volta dimostrato che il Prato senza Toccafondi era una pistola scarica.
"Non c’è tempo per compiacimenti quando agonizza la squadra del cuore. Sarebbe stato levarsi la sete col prosciutto e irridere al lavoro di un altro mohicano, Stefano Commini, che aveva cercato a suo modo di far bene".
Ora la palla torna a te.
"Nient’affatto. Ora la palla torna alla città che conta e al possibile azionariato popolare. Non candidiamoci al martirio del "chi vuol Cristo se lo preghi". Scandagliamo la città per individuare collaboratori o sostituti a livello di dirigenza, come succedeva quando l’Unione industriali chiamava a raccolta i propri iscritti delegandoli alla presidenza. Baldassini e Capponcelli furono fra questi. E’ finito anche il tempo in cui l’Amministrazione comunale riusciva a tenere insieme l’Unione Industriali di via Valentini ed il campo Sinti di viale Marconi con tutto la roba che ci stava nel mezzo. Tutti convocati, nessuno escluso soprattutto fra i pratesi più abbienti. Con l’impegno di ridare a Prato la dignità sportiva che merita. Non siam venuti al mondo perché ne mancava uno. Cantiamo ancora allo stadio: tutti uniti noi siamo, perché in alto salire vogliamo".
Le esigenze più immediate? "La prima è che il Prato sia iscritto alla prossima serie D, impegno in carico a Commini che dovrà saldare i tesserati; la seconda è che la città si frughi tasca per versare entro il 18 luglio almeno un milione di euro sul conto deposito fiduciario presso il notaio D’Ambrosio. Occorre che si trovino almeno altri nove imprenditori disposti a fare altrettanto. Quando il Prato sarà salvo, sono pronto a farmi da parte, lasciando la mia quota nella società. Siamo fra l’uscio e il muro. Essere pratesi è tanta lana, si usa dire. Dimostriamolo, perché il fallimento di questa operazione significherebbe mortificare una città protetta da mura trecentesche ma soprattutto dal calore di quelli che le vogliono bene".
Poi l’azionariato popolare?
"Mi piacerebbe se Prato potesse fare da apripista al modello tedesco, che è l’unica strada possibile perché il tifo diventi appartenenza".
Allo stadio i dissidenti non intoneranno più "che si vinca o che si perda/Toccafondi è una m…
"Non lo intonavano più da tempo, una volta capito, come diceva mio padre, che tutti vorrebbero andare a letto con Belen, ma che bisogna fare con quel che si ha. Era un simpatico refrain che fa parte del colore calcistico e che bisogna saper accettare se non arrivano i risultati. Al mondo non basta essici, bisogna saperci starci, dicevano i nostri nonni".
Roberto Baldi