"E’ doloroso ricordare, ma dobbiamo farlo. La nostra sofferenza deve essere condivisa con gli altri. Si deve sapere, perché nessuno possa provocare tanto male". Ce l’hanno ripetuto i familiari dei deportati pratesi nei campi di concentramento nel marzo 1944 che, per tre mesi, ogni domenica, sulle pagine del giornale, hanno raccontato la storia di padri, nonni e zii. Dopo lo sciopero che aveva coinvolto la stragrande maggioranza dei lavoratori delle fabbriche pratesi, immediata e durissima fu la reazione nazifascista. Gli uomini, anche giovanissimi, furono prelevati con forza dalle fabbriche e dalle case, rastrellati per strada, perché di lì passavano. In 152 furono condotti nei campi di concentramento. Da Ebensee e Mauthausen tornarono soltanto diciotto. Con i nostri compagni di questo viaggio nel passato per pensare al futuro, il Museo della deportazione di Figline e Aned-associazione ex deportati, abbiamo scelto di dare voce ai familiar di quei deportati. Ora che anche i sopravvissuti non ci sono più, sono i familiari che possono diventare i nuovi testimoni. Storie personali per una storia collettiva di tutta la comunità. La nostra volontà di fare parlare chi poteva ancora raccontare è stato uno sprone per tanti familiari. Li abbiamo cercati, ci hanno cercato rispondendo al nostro invito di portare voce e qualche fotografia serbata nei cassetti.
Assieme alle carte, ai documenti, ai libri, la deportazione è stata raccontata da chi quei deportati li ha conosciuti e amati. Nomi, volti ripresi da qualche vecchio scatto fotografico. Fatti che parlano alla mente e al cuore. Quelli che non sono tornati: il saluto di Diego Biagini al figlio Giancarlo di tredici anni che non lo vide mai più; Renzo Ponzecchi nella memoria del nipote che porta con orgoglio il suo stesso nome; gli operai di Campi Bisenzio e Capalle che lavoravano nelle fabbriche di Prato; Bruno Tesi, il ragazzino che stava andando a comprare le medicine per il padre malato nel dolcissimo ricordo della cugina Dunia Sardi. Mario Nanni, catturato all’età di 18 anni: l’omonimo nipote assieme alla sua famiglia, è riuscito a far rientrare le spoglie da Mauthausen.
Il biglietto lanciato dal treno diretto in Germania da Gino Bartoletti in un saluto alla famiglia raccolto e custodito dalla sorella, ritrovato dal nipote Giuseppe Fioravanti. Antonio Cecchi portato via di notte dalla sua abitazione, sotto gli occhi del figlio Giuliano. L’angoscia di chi è sopravvissuto ed è riuscito a tornare a casa. La fatica di raccontare e farsi ascoltare in alcuni dei 18 sopravvissuti. Valter Bruno Consorti, che riuscì dopo tanti anni a parlare dei giorni del lager al figlio Bruno; Bruno Paoli dalla voce della figlia Paola; l’adolescente Marcello Martini che ha scritto tutto il suo orrore in un libro. Per le famiglie travolte dalla deportazione, un tormento che ha segnato le vite. Una catena di persone che sono andate ad Ebensee e Mauthausen con figli e nipoti, perché hanno voluto fare conoscere e non dimenticare. Ora, anche alla comunità in cui vivono, affidandosi alle pagine de La Nazione.
Marilena Chiti